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Religione, sacrificio e destino

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Mi è capitato di osservare come nel concetto di religione di popoli diversi e vissuti in epoche differenti, vi sia comune e addirittura intrinseco il sacrificio. Esso viene inteso sia come pratica effettiva, per manifestare quindi un’ offerta ad uno o più dei, che come rinuncia in segno di devozione nei confronti degli stessi.
Da tutto ciò emerge quindi che l’ uomo ha sempre attribuito a Dio una personalità volubile, soggetta a ire da placare opportunamente con il sangue di animali o persone innocenti, un Dio che concedeva grazie ed abbondanza, ma che poteva in qualunque momento stravolgere le cose a piacimento proprio, quasi si divertisse a giocare a dadi con il destino degli uomini.
I moce, popolo sanguinario dell’ epoca precolombiana, sacrificavano oltre ad animali anche i propri figli, per avere raccolti abbondanti e una stagione propizia, gli antichi romani offrivano capre e altri animali agli dei dell’ olimpo, così come gli ebrei al proprio Dio.
Perchè a Dio viene sempre associato il sangue?
Anche nella nostra religione, il Cristianesimo, che è una dottrina senza dubbio pacifista, protesa a realizzare l’ uomo nell’ amore, è pure presente questa caratteristica, che è poi il principio stesso nel quale si basa.
Gesù, il figlio di Dio è stato sacrificato da lui stesso a nostro beneficio. Perchè? Per salvarci, così insegnano al catechismo.
Ma io mi rifiuto di credere ad un dio padre che manda a morte il proprio figlio, sia pure per il bene della collettività.
Gesù era una persona che testimoniava un nuova dottrina di pace, e mi riesce più accettabile pensare che siano stati gli uomini dell’ epoca, persone ottuse e chiuse all’ amore a decretarne la fine sulla croce, non Dio padre. Se così fosse, per me Dio non avrebbe ragione di esistere o almeno non lo chiamerei padre.
In fondo, anche oggi come allora, la gente che opera il bene viene spesso uccisa e non credo che ci sia nessuno nei cieli che lo possa preventivare nè tanto meno decidere.
Poi è assurdo e ingiusto che per celebrare la morte e resurrezione del Cristo, ogni anno a Pasqua si macellino centinaia di poveri agnelli, in questo modo ci si identifica con i carnefici dell’ ”agnello di Dio”.
Io non credo che una divinità possa veramente attribuire un destino favorevole o meno ad ognuno di noi, altrimenti sarebbe tremendamente ingiusto. Conosco gente segnata da diverse disgrazie, che davvero meriterebbe un pò di gioia.
Sicuramente ognuno di noi ha il suo destino, in parte modificabile dal nostro comportamento, ma nella maggiore, imprevedibile.
Secondo me, ogni persona dovrebbe fare un pò sua la filosofia buddista che invita a migliorare il proprio essere.
Io non so se esita il Paradiso o si possa arrivare al raggiungimento de Karma, ma quello che credo è che di tutta la nostra vita alla fine non rimanga altro che l’ amore che abbiamo costruito qui sulla terra.
Fatemi sapere cosa ne pensate. Ciao

Lettera pubblicata il 5 Giugno 2007. L'autore ha condiviso 3 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore .
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Categorie: - Spiritualità

La lettera ha ricevuto finora 4 commenti

  1. 1
    rossana -

    osservazioni interessanti, anche se a livello personale, com’è giusto che sia, ognuno ha le sue sensazioni in materia, che non sono mai provate da nessuno e da niente.

    è il mistero della vita che induce a cercare d’individuare soluzioni che non possono che essere soggettive.

    concordo con te che “di tutta la nostra vita alla fine non rimanga altro che l’ amore che abbiamo costruito qui sulla terra.” spesso, salvo casi eccezionali, di breve durata pure quello, destinato a disperdersi dopo poche generazioni…

    quello che oggi è per noi il tutto, nello spazio e nel tempo non è che una temporanea goccia d’acqua dispersa in un immenso mare!

  2. 2
    colam's -

    Concordo anche io sulla frase che “quello che rimane della nostra vita e’ il tesoro dell’amore e delle buone opere”.

    Per quel che riguarda i sacrifici non sono esperto ma penso ci possano essere varie spiegazioni:
    – il sacrificio delle primizie, come forma di rispetto (al pater familias di solito si lasciavano i cibi migliori, a Dio si offrono le primizie)
    – il sacrificio di sangue, specie se umano, penso era inteso come una sorte di temporanea apertura di un canale di comunicazione tra uomini e aldila’

    Un padre che sacrifica il proprio figlio deve amare davvero tanto la ragione per la quale considera giusto questo sacrificio. Percio’ Dio puo’ essere padre.

    Il discorso degli agnellini di Pasqua e’ puramente ipocrita secondo me: e le migliaia di porcellini e vitellini macellati nell’indifferenza tutto i giorni ?

    Per il resto la filosofia del “ognuno dovrebbe migliorare il proprio essere” credo non abbia senso se non e’ chiaro cosa sia il bene e cosa sia il male: se ognuno si “migliora” come meglio crede, non penso che alla fine ci sara’ più armonia e pace e amore nel mondo, ma solo un accozzaglia di individui con la propria visione comoda del personale miglioramento, ognuno la sua…

  3. 3
    Rossella -

    Il sacrificio è importante. Es. La lussuria intesa come momento di libidine che sviluppa la potenziale fecondità di un uomo che fa molto affidamento su sé stesso e si sente perduto è una resa alla brutalità del reale. Sacrificare qualche aspirazione (es. mi decido per il celibato) aiuta a placare quel dissidio interiore porta sulla strada dell’insoddisfazione, perché spinge a cercare la donna nel vento per ribadire la mancanza di scopo della vita. Io stessa ho smesso di sognare il matrimonio. Anzi: non mi voglio sposare. Meglio ancora. L’eroe romantico vive sospeso tra titanismo e vittimismo; passa dall’essere un ribelle all’essere una vittima. Il romanticismo per questa ragione non è sempre compatibile con la morale cattolica. Dipende anche dai caratteri. Il superamento del conflitto porta a trovare la vera patria nell’altra vita e a vivere l’amore in maniera casta. Chi si sposa (o chi decide di fare un progetto per la vita con una persona) lo fa perché ha superato questo conflitto giovanile. Infatti io non mi sposo anche perché non mi sembra logico mettermi alla mercé di un uomo che mi desidera, ma non mi vuole. Grazie tante. Non mi offendo perché viviamo nel 2017, ma sono discorsi? Io mi sono trovata in una situazione di grande imbarazzo. E sembrava la cosa più normale di questo mondo, anche se l’abbigliamento diventa un problema. Caspita? Tu pianifichi alla luce del sole una cosa del genere e i miei gusti nel vestire ti urtano. Sarà la voce della coscienza!

  4. 4
    Rossella -

    Io mi sento tranquilla, perché accanto ad un uomo che mi ama potrei permettermi questo e altro. Il problema, a limite, sarebbe nostro. Tra me e lui. Ma all’esterno (visto che ti preoccupano le apparenze) non ci sarebbero problemi. Al massimo potrei apparire come una donna un po’ eccentrica. Quando permane questo tipo di mentalità non si distingue più il sacro dal profano perché la vita reale inquadrata da una prospettiva ideale appare ugualmente peccaminosa. Infatti molte persone guardano con meraviglia al cristianesimo positivo che non mortifica le aspirazioni dell’uomo e non lo obbliga ad isterilirsi nel chiuso dell’interiorità. La situazione rischia così di degenerare perché l’uomo spirituale rifiuta il peccato, ma finisce per dipendere dal proprio io (mettendo tutto sé stesso nella ricerca del massimo profitto, ecc.) o da immagini consolatorie che lo portano a sentirsi innocente o integralmente colpevole. Gabriele D’Annunzio ci dimostra quanto questo sia vero… nei suoi romanzi è sempre presente un amore che sconfina nella blasfemia e che pure ci sembra immacolato rispetto ad altre immagini che vengono incorniciate da una colpa che il protagonista prende su di sé anche se sta parlando di un altro uomo. Utilizza questo gioco di specchi per conservare l’anima. Altro grande tabù del nostro tempo!

    Questo modo di guardare fa tanto male. Diventa tutto una questione di decenza.

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