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Meritocrazia e uguaglianza delle opportunità

Noi tutti alla soglia dei vent’anni abbiamo avuto delle ambiziose aspettative di successo nel campo professionale. Lo studio, l’impegno e il sacrificio per raggiungere un obbiettivo surreale che vive nella nostra mente, che man mano affievolisce e apre la strada alla consapevolezza di una distorsione obbligata dei nostri obbiettivi. Non è un fallimento, ma la percezione dei nostri obbiettivi muta e fa i conti con una nuova realtà distorta da una società poco garantista e sleale. L’idea di uguaglianza di opportunità e meritocrazia si sfalda nel caos di una società colma di disuguaglianze sociali. Il soggetto che lavora in un contesto sicuro per le condizioni economiche non sempre appaga le proprie aspirazioni e degenera in un profondo pessimismo che colma nella consapevolezza di aver visto vanificare tutti i propri sforzi. Pensate all’architetto che pur di lavorare fa il geometra, il poliziotto laureato che non riesce a far carriera e archivia le pratiche o l’impiegato di una azienda che non riesce ad emergere per la supremazia di un collega, il tutto visto nell’ottica di un concetto spesso disapplicato e poco conosciuto: “tutti devono partire dallo stesso punto di partenza” il che renderebbe le regole del gioco uguali per tutti. Se pensiamo che molti giovani già verso la fine dei vent’anni maturano l’idea dell’insuccesso ridimensionando le prospettive future banalizzando il concetto che per costruirsi un futuro bisogna creare le premesse. “Premesse” che dovrebbero essere accessibili a tutti come vessillo della meritocrazia. Il fallimento di un individuo nell’affermare la propria capacità dovrebbe essere inquadrato nel fallimento di un intera società che non riesce a garantire uguaglianza delle opportunità, meritocrazia e stesso punto di partenza. Oggi vi sono paesi, soprattutto a cultura anglosassone, dove la meritocrazia premia e che attraggono migliaia di giovani in cerca di successo. Così in Italia, diversamente dagli altri paesi, può accadere che figure professionali come l’ingegnere, il poliziotto, l’architetto o il medico tacciono indifferenti e rassegnati di fronte alla forza paralizzante dello status quo vivendo l’insuccesso come un fallimento demoralizzante e demotivante della propria esperienza.

Lettera pubblicata il 8 Giugno 2020. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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La lettera ha ricevuto finora 12 commenti

Pagine: 1 2

  1. 1
    Bottex -

    Purtroppo qui è così e il problema è evidente. Salvo qualche eccezione, le persone che riescono veramente a raggiungere i propri obbiettivi non sono quelle che hanno avuto più meriti, ma quelle che avevano già i relativi agganci e conoscenze. Viviamo nel paese delle raccomandazioni. Non è un caso che molti giovani ambiziosi fuggano da qui per cercare una maggiore fortuna all’estero.
    Aggiungo anche che a questa mancata “uguaglianza delle opportunità” non è una cosa nuova qui, dovuta alla difficile situazione economica degli ultimi anni. C’era già anche prima, quando le cose generalmente andavano meglio. Ovvio che poi dipende anche dal settore.
    Purtroppo non vi è facile soluzione, ecco perchè molti si “arrendono”. Non si tratterebbe solo di adeguare il metodo scolastico e i criteri di selezione per le assunzioni. Bisognerebbe cambiare di fatto un modo di pensare (sbagliato) di una intera nazione, consolidatosi nel tempo. Impossibile, più che difficile.

  2. 2
    white knight -

    Vero… però attenzione che nella cultura anglosassone non è prevista la mentalità sindacale italiana… Per cui le persone che ambiscono a quel tipo di meritocrazia dovrebbero essere disposte a rinunciare a certe forme di (iper)tutela dei lavoratori e prepararsi per un certo livello di competizione. Inoltre bisognerebbe definire bene il concetto di meritocrazia: a parole tutti sono tuttologi (in un’azienda anche chi pulisce i cessi, con tutto il rispetto per la professione, spesso ritiene di saperne di più del CEO)… E poi attenzione che “troppa” meritocrazia porta le organizzazioni alla rovina: nel clima ipercompetitivo che si crea la tendenza sarà quella di performare a tutti i costi nel breve termine (sacrificando magari obiettivi di medio-lungo). Detto questo cmq sono anche io favorevole ad una maggiore anglicizzazione di questa carcassa borbonica rimasta ancora ai tempi di “DC vs PCI”…

  3. 3
    alisee -

    L’ipercompetitività in effetti crea grossi danni alle aziende, perchè si sacrifica il futuro per l’immediato.
    Il capo cerca risultati immediati, che però porteranno spesso a un crollo nel mediolungoperiodo, ma tanto lui pensa, io allora me ne sarò già andato con una congrua buonuscita.
    Il buon capo sa motivare i colleghi e il suo obbiettivo è il medioperiodo, soprattutto la
    fidelizzazione della clientela è basilare.
    Ci possono volere anni per conquistare un cliente, ma basta un minuto per perderlo.
    E questo non va mai scordato.

  4. 4
    Yog -

    Avere conoscenze, aderenze, relazioni e raccomandazioni fa parte degli skill sociali che uno deve sapersi costruire MERITANDOSI l’altrui considerazione.
    La nostra è gia ampiamente una società meritocratica, solo che i ciucci che non riescono a sfondare dicono che non lo è abbastanza.
    Solita storia della volpe e dell’uva.
    Quanto alle pari opportunità, quelle ci sono per tutti, in Italia l’università è apertissima e costa una pipa di tabacco, il problema è che i figli dei povirazzi spesso nascono pigroni e ciucci e quindi da adulti restano pure loro povirazzi ed è difficile spezzare ‘sta catena.

  5. 5
    CLAUDIO -

    e tu,yog,di quei “povirazzi” sei l’esempio più lampante.
    riguardo la lettera in questione si é fatta la solita scoperta dell’acqua calda(anche nel”competitivo”regno unito bisogna verificare se è completamente”meritocratico”) come succede già da tempo,ma nonostante tutto l’impegno prima o poi viene ricompensato(nelle forze dell’ordine,ad esempio).e,comunque,lavori tanto o poco e con tanto o poco impegno sempre un comune mortale rimani(ma,come già si sa,pochi privilegiati questa”piccola” vita se la godono pienamente!).

  6. 6
    tristerealtà -

    In Italia c’è una mentalità medioevale e arrogante, riescono solo i figli di famiglie importanti. Non esiste il merito e la mediocrità la fa da padrona a tutti i livelli. Le persone più intelligenti e capaci in Italia sono destinate a fare la fame ora come ora ad arraggiarsi con espedienti, prostituzione, ecc.. Questa è la triste realtà.

  7. 7
    Delarge -

    Non è sempre così… La mia storia ne è la prova. Io sono sempre stato una frana nelle relazioni, vengo da una famiglia del sud povera. Mio padre è morto quando avevo 16 anni. Non ho mai potuto contare su un eredità o di una strada aperta per me da altre persone. Ho fatto il manovale in nero insieme a moldavi e rumeni quando avevo 14 anni. Dopodiché ho realizzato che potevo fare di più e ho studiato, volendo essere sempre il migliore degli altri, e così fu. Sono stato il migliore delle superiori e così all università. Finita ho cercato opportunità da solo, su Linkedin. Dopo un anno di lotta e di stage, sono riuscito a impormi in un concorso per una importantissima azienda bancaria, vincendo su altri candidati. Ecco, ora ho un lavoro molto importante e appagante, meglio anche dei miei sogni da ventenne. Certo, ho dovuto competere, inimicarmi altre persone, perdere amicizie e fidanzate per strada in nome della competizione. Assicuro quindi che partendo come ultimi, si può arrivare primi

  8. 8
    Delarge -

    Certo ho la fortuna di essere al nord e comunque trovare il concorso giusto al momemto giusto e vincerlo, dipende in buona misura sempre dalla fortuna. Fa male sentire dalle altre persone, come voi, ma come anche da conoscenti e amici, che chi ha buoni lavori è raccomandato.. Senza pensare a cosa hanno sacrificato essi stessi, a cosa hanno fatto, ovvero spesso poco o nulla. Certo i tempi di oggi sono per pochi, per chi ha voglia di emergere, di lottare e sacrificarsi studiando o lavorando giorno e notte senza arrendersi mai. È facile per la volpe che non arriva all’uva dire che è acerba, e quindi che sono tutti raccomandati.

  9. 9
    tristerealtà -

    Delarge non metto in dubbio la tua storia, ma io conosco un sacco di gente volenterosa e preparata che prende solo calci nei denti. Magari sbaglieranno in qualcosa, questo si. Ma bollarle tutte come incompetenti superficiali e sfaccendate non mi sembra giusto. Alla fine, volenti o nolenti, contano i dati e le statistiche, non il singolo caso che è l’ eccezione alla regola, perchè sono le statistiche che fanno la norma. E la norma è che di solito solo chi già appartiene a certi ambienti oppure viene raccomandato, raggiunge certi traguardi, tutti gli altri devono arrabattarsi. Anche i tuoi amici e conoscenti lo confermano perché se ti dicono così penso che un motivo ci sarà. Ma fa senz’altro piacere ogni tanto sentire anche storie come la tua. Ciao.

  10. 10
    CLAUDIO -

    Se é vero ciò che scrivi BUON PER TE,delarge,ma qui stai un po’ fuori luogo perché il dilemma della poca(o nulla) meritocrazia e uguaglianza di opportunità in Italia è una SITUAZIONE REALE quanto la tua di avere un impiego”appagante”partendo quasi da zero!
    È l’ennesima conferma che per una persona che si è pienamente “realizzata”nella vita(almeno a parole) ve ne sono decine che si sono dovute”accontentare”di umili lavori pur di mantenere una certa DIGNITÀ e portare a casa un pasto decente a sé e,con molta probabilità,alla propria famiglia.D’altronde quando l’autore di questo post afferma che”il fallimento di un individuo nell’affermare le proprie capacità dovrebbe essere inquadrato nel fallimento di un intera società”pur con qualche dubbio in merito,risulta decisamente Difficile da obiettare(adesso più che mai).
    PS:Se non sono troppo indiscreto,ti chiederei cortesemente di mettere il tuo nome e cognome anche per rendere Genuina la tua Importante testimonianza!

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