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Disperazione

Trovi il testo della lettera a pagina 1.
Lettera pubblicata il 14 Novembre 2008. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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La lettera ha ricevuto finora 91 commenti

Pagine: 1 6 7 8 9 10

  1. 71
    LUNA -

    Qui si parla in particolare di un certo “tema”. E anche su questo tema non esistono risposte pronte, nel senso che ogni caso è a sè, ha una sua biografia, racchiude alcune dinamiche, intersecate in un certo modo, nella varietà di dinamiche che possono essere incluse nel tema: violenza psicologica/molestia morale, e le loro manifestazioni, effetti. Qui si parla di consapevolezza e di recupero.
    Ed è vero, sarebbe bello poter agire prima.
    Ma a parte che penso che ogni vita restituita a una vita degna di tal nome sia una vittoria (personale, per chi torna alla vita) penso anche che ogni persona che guarda alla vita in modo sano può mostrare ad un’amica, una figlia, una sorella, una madre, anche alla signora che incontri alla cassa del supermercato, anche solo già vivendo, qualcosa che dovrebbe essere ovvio, naturale, ma spesso non lo è.
    Può essere uno spunto, può far cadere un velo, può spingere, la vita dentro che vuole vivere, a cercare il suo diritto e il suo spazio.
    Non è questione di cattiveria, secondo me. Cioè, non sto dicendo che chi fa male sia buono, ovviamente, ma il problema è che chi fa male attraverso questi tipi di violenza di cui parliamo (e questa, si badi bene, non è per me una giustificazione) ha un suo motivo, interno, o una serie di motivi, meglio, per essere ciò che è, agire come agisce,
    guardare chi ha di fronte, i rapporti, il mondo, la sensibilità dell’altro in un certo modo. Ha tutti i suoi motivi, e i suoi schemi, per vivere in un certo modo il proprio rapporto con la SUA violenza.
    E per negarla, per giustificarla, per sentirsene prigioniero, ma non uscirne, o per guardarla come un mezzo, automatico, per esempio per controllare la realtà. Ho poco spazio, ma voglio dire intanto questo: spesso l’unico modo per un violento di fare lo scatto: “voglio guarire” è capire di avere un problema. Ma spesso ammetterlo per lui è uno svantaggio.perché la violenza gli è utile, perché uscirne è faticoso. Perché c’è chi si prende cura di un problema suo.

  2. 72
    LUNA -

    LOREDANA: ciao 🙂 🙂 🙂
    non ho capito a quali libri ti riferisci, ma non importa 🙂 se i libri ti “parlano”, ti dicono delle cose che hai bisogno di capire, centrare, sentire è ottimo 🙂
    per il resto le tue osservazioni sono puntuali, sulla difficoltà, e anche sul fatto che l’oppressore – dicevo questo anche nel post più su, appunto – ha un vantaggio nella sua oppressione, capisce solo quella, sì, è vero.
    conosce un linguaggio solo e non ha interesse/voglia/capacità di impararne un altro. Anche se gli dici: guarda! lui non vede.
    Schiva, glissa, dà una sua interpretazione.
    Ha le sue dinamiche e il suo modo di vedere la vita. ha i suoi parametri, per cui ti può, per esempio, insultare ma darsi sempre una giustificazione. può ferire, e quanto, ma sentirsi ferito trecento volte lui se sposti una cosa di un millimetro. può essere territoriale, possessivo, ma non avere idea che l’amore non lo puoi pretendere a pugni, che una storia, un rapporto si costruisce, e non certo a cazzotti. può dire che ti protegge, ed è magnanimo, mentre in realtà ti rinchiude. Può fare tutte queste orribili cose, e anche altre.
    ma non puoi cambiare lui, se lui non vuole, non vedrà mai se non vuol vedere.Anzi, alzerà la posta. La violenza non diminuisce se non è arginata, aumenta. Perde via via ancora più parametri reali.
    Vedere per chi usa il filtro dell’oppressione per guardare la vita, per gestirla, per distruggerla invece di costruirla, è uno svantaggio.
    Se così non fosse, se capisse il vantaggio di vivere diversamente, non vivrebbe così.
    Ama, non ama? anche se amasse ama di più se stesso, e il suo è un modo di amare malato. ma allora chiediamoci cos’è l’amore… per noi è questo?
    puoi (tu generico) cambiare tu la tua vita, dicendo no a tutto questo e fartene un’altra migliore. Dove i parametri siano altri. Dove, tu che sai che questo è sbagliato, quello che cerchi di dire a lui che è sbagliato, se lo sai, tu lo sai, puoi rifiutarlo.
    il rimedio sta dentro, non fuori. nel lavorare

  3. 73
    LUNA -

    sulla propria voglia, capacità, sul proprio bisogno di una vita sana, migliore, degna di tale nome, su un amore che sia amore, sta dentro, non fuori.
    Intendo dire: non sta nel dire a qualcuno che ci prende a calci in testa (che siano metaforici, o purtroppo, in molti casi, reali) “guarda che mi stai prendendo a calci in testa! guarda che mi fai male! guarda che non è giusto! guarda che stai sbagliando!”.
    Sta nel cominciare a pensare che noi, siamo noi stessi coloro che prima di tutto ci portiamo appresso tutta la vita. E che se una persona è malata, è violenta e ci prende a calci in testa dobbiamo tutelare il nostro non volerlo. Non cambiando gli altri, ma concedendoci il diritto di sapere, SAPERE che noi non siamo nati per prendere calci in testa.
    NESSUNO NASCE PER PRENDERE CALCI IN TESTA.
    Non importa se abbiamo incontrato persone che l’hanno fatto. Non hanno ragione, MAI. Non hanno giustificazioni. E il dare calci in testa è una loro malattia che NOI NON POSSIAMO CURARE. Neanche con l’amore.
    e che ci contagerà invece facendoci credere che forse ci meritiamo un calcio in testa.
    Possiamo capire perché siamo rimasti, è vero, possiamo imparare a non cascarci più, possiamo farci aiutare e aiutarci ad uscirne.
    POssiamo capire perché non abbiamo saputo riconoscere la violenza.
    Questo possiamo farlo.
    Ma partendo finalmente da noi, in senso costruttivo, non dandoci a nostra volta calci in testa, da soli.

    e, per inciso, fidati che non sono solo parole quelle che dico.
    ho preso anch’io i miei calci in testa.

    Un abbraccio.

  4. 74
    fl53 -

    Per Luna: il libro di cui parla Loredana è quello che avevo consigliato io, di Dyer.
    Vorrei partire da queste due frasi:
    Luna: @il dare calci in testa è una loro malattia che NOI NON POSSIAMO CURARE. Neanche con l’amore. che ci contagerà invece facendoci credere che forse ci meritiamo un calcio in testa@
    Loredana:@ Secondo me a volte bisognerebbe agire per vie legali…. ma bisogna trovare il coraggio e sapersi allontanare e prendersi tutte le conseguenze del caso@
    Qui abbiamo analizzato i meccanismi interni della violenza, non solo in teoria:come dice Luna abbiamo preso calci in testa. Ma la violenza vive, come fosse un lager, dentro la società.Gli americani,sconvolti alla vista del lager,prelevarono gli abitanti dei dintorni dalle loro case con le begonie ai davanzali e li obbligarono a vedere.Ovvio, quelle persone facevano bene a coltivar begonie in casette ordinate eppure tutto era sbagliato: dentro la società c’era il lager e la società reagì; punizione ai colpevoli, almeno quelli che non erano scappati in Sudamerica coi soldi, collettivo rifiuto per l’orrore dei lager, programmi psicologici nelle scuole.
    Nella nostra società, pulsano migliaia di mini-lager costruiti da persone ‘malate della malattia che li fa vivere dando calci in testa’.Sono micro-lager avanzati:la tortura è invisibile, la vittima esce, fa la spesa e torna nel lager convinta che quello sia il suo posto.Parlare di questa realtà dà fastidio: le signore-bene la snobbano, le bigotte la negano, le persone semplici non se la figurano.
    Chi capisce sono gli psicologi (non tutti), i gruppi di auto aiuto, i centri antiviolenza con assistenza psicologica, legale. Ma l’assistenza legale spesso è ulteriore violenza –come dice Loredana- e, comunque, non funziona se non ci sono le leggi: l’avvocato ti dice, chiaro e tondo, che questa violenza non è perseguibile perché la legge non la considera e quindi … non esiste! La legge sullo stalking è un passettino minimo: colpisce solo i violenti che non si

  5. 75
    fl53 -

    sanno controllare. La legge non tocca (e quindi non frena) i violenti che usano, per annullare una persona, la psicologia raffinata che Luna ha descritto alla perfezione.
    Se è vero che l’unica soluzione per la vittima è liberarsi e vivere, non basta che lei costruisca su di sé per riuscire a farlo. Troppi sono i casi in cui la vittima, sfinita, si allontana ma si trova solo apparentemente fuori dal lager, spesso espulsa dallo stesso dittatore desideroso di procedere oltre nelle sue dinamiche malate. In realtà, lui sta confezionando un nuovo lager: negazione dei diritti, emarginazione dalle persone più care manovrate ad arte, diffamazione a largo raggio.In questo contesto, chiedere a una persona solo di ‘costruire su se stessa’ aggiunge alla tortura la pretesa dell’accettazione e questo è atroce. Anche perché, se ce la fa, viene accusata di essere insensibile. Io ho sono stata accusata di essere un mostro perché sopravvivevo alla tortura; ma, se per caso sfinita mi lasciavo andare un po’, e avevo le occhiaie, mi dicevano che facevano bene ad escludermi perché ‘non ero positiva’: nemmeno la libertà di piangere, ti lasciano. Ma non c’è scampo: ‘non c’è una legge’ perciò ‘non esiste la violenza in oggetto’. Si smascheravil violento solo se è così scemo da usare le mani. Ho un’amica cui, dopo la separazione, i due figli non rivolgono più la parola; al massimo, le portano i pantaloni da accorciare, guardandola con disprezzo se lei solo tenta una frase… se lei rifiutasse di accorciare i pantaloni, non li vedrebbe più ; solo due anni fa aveva un rapporto bellissimo … per un po’ ha retto, ma ormai non ha più voglia di costruire su di sè, si è ammalata, ora ricorre all’alcol che,nelle sue condizioni, è puro veleno. Io, questo, lo chiamo delitto perfetto, e non solo io.
    Siamo in uno stato di cose in cui bisogna ritenersi fortunati se si subisce violenza fisica che consente la denuncia: sempreché si abbia la lucidità –e il fegato, perché i risultati sono tutt’altro che

  6. 76
    fl53 -

    garantiti- di procurarsi foto e testimoni. È già qualcosa rispetto ad altri tempi.
    Vedere l’orrore del lager ha fatto sì che un’intera società affrontasse il problema: non che questo impedisca agli svitati di fare i naziskin, ma almeno si sa che ‘la cosa’ c’è, è brutta..magari qualcuno si fa curare in tempo.
    La società dovrà confrontarsi, prima o poi, con i violenti civilizzati astuti anche perché, visto che ormai la violenza fisica è perseguita, molti si spostano verso la ‘civile’ violenza psichica:il fenomeno è in crescita. So che in Svizzera, una commissione sta lavorandoci. Malgrado le leggi, è vero,furti e stupri sono comunque dappertutto, però un progresso rispetto a razzia e schiavitù è stato fatto. La legge non sarà un abracadabra che fa sparire la violenza psichica, ma è il primo passo.
    Insomma … io vivo con gioia la vita che mi sono ripresa, ma sono anche dentro a un nuovo lager invisibile che si rinforza ogni giorno e se mi limito a vivere le cose belle che mi sto conquistando senza FARE nulla per interrompere il nuovo lager, è come se io obbligassi me stessa a sopportarne consenziente e sorridente la tortura … una tortura nella tortura. Oltretutto, so che non faccio nulla per impedire alla ‘malattia’ di propagarsi a figli,nipoti…Parte del costruire me stessa, è ANCHE fare qualcosa contro quella tortura… vivere la mia gioia vale se tento qualcosa perché il mio lager finisca e finiscano quelli degli altri… non voglio coltivar begonie sul mio balcone se accanto qualcuno soffoca nel lager … ma le coltivo con gioia, se faccio quel che posso per aprirne le porte, perché se ne costruiscano sempre di meno … Questo FARE è bello: c’è un prezzo da pagare, ma quale che sia il risultato almeno avrò provato e ciò restituisce valore alla mia sofferenza,scambio di amore … e allora sì che costruire me stessa e vivere con gioia ha senso: ho un obiettivo, chiaro, bellissimo, possibile…

  7. 77
    LUNA -

    FL53: quello che dici è molto vero, e tra l’altro hai descritto delle realtà, non hai appunto parlato in astratto.
    E questo è fondamentale.
    Quello che dici sulla legge è verissimo. Verissimo è che ci vuole più informazione, anche. Questa è una cosa che, nel mio piccolo, cerco di fare. Far capire a chi non sa, non conosce, che la violenza psicologica esiste. Non è un’invenzione, non è una scusa, non è “nessuna coppia è uno spot pubblicitario”. Non è: “tutti, qualche volta, possono avere un momento no”.
    Perché è vero, probabilmente che nessuna coppia lo è, uno spot dei biscotti appena sfornati (dalla fabbrica… :O) nel senso che i miei nonni sono stati insieme 60 anni, si sono amati molto, rispettati molto, ma anche è capitato che fossero in disaccordo su qualcosa, e che fossero un po’ nervosi… li ho visti batibeccare alle volte, ma batibeccavano da persone che si amavano e si rispettavano. e sono stati davvero insieme nella buona e nella cattiva sorte.
    sicuramente in 60 anni non ci saranno stati solo giorni con il cielo blu che blu non si può. Questa, secondo me, è utopia.
    Però la violenza psicologica non è il marito che arriva a casa e protesta perché hai fatto la pastasciutta con il pomodoro invece che con il tonno, perché magari è un po’ nervoso perché ha avuto una giornata difficile. Ma poi ti chiede scusa. Non è la coppia che litiga un attimo davanti al cinema perché lei vuole vedere un film d’amore e lui un film d’azione, ma poi magari sdrammatizza con una battuta. Non è neppure il fatto che due amici miei che conosco abbiano avuto un periodo di nervosismo ovvio perché lui era rimasto senza lavoro e lei si alzava ogni giorno alle 4 del mattino per andare a fare le pulizie, ed era la sola che portava i soldi in casa, in quel periodo, per pagare il mutuo…
    La violenza psicologica è un’altra cosa. E sarebbe il caso che il mondo lo sapesse che è un’altra cosa. Perché l’ignoranza fa danni grossi… perché ci sono persone che cercano di dire che vivono in

  8. 78
    LUNA -

    un lager – perché capiscono che qualcosa non va, che sono infelici, che c’è una prevaricazione, finalmente ne prendono coscienza – ma da fuori possono sentirsi dire: “vabbè, ma anche mio marito alle volte mi risponde male…”.
    E possono sentirselo dire da chi parla di una realtà che non centra NIENTE con quella del lager. O anche da chi vive in un altro lager e quindi dice: questo è normale. Tempo fa una ragazza ha scritto in questo forum (e stava facendo un grosso lavoro per capire che era finita in un lager…) che una sua amica minimizzava il fatto che lei fosse stata presa a “calci in testa”. Le diceva che lei stava sbagliando. Terribile. Ma l’amica minimizzava perché non ce la faceva ad ammettere che anche lei li prendeva, e quindi dirle è normale non era una cattiveria… era la sua difesa dal fatto di prendere coscienza dello stare nel lager. perché nessuno le aveva detto che il lager esiste. lei vedeva solo l’uomo che aveva di fronte, ma non sapeva che questa è… una malattia. ma è come se andassi da qualcuno che ha la mia stessa dipendenza dall’alcol, ma non vuole ammettere di averla, e mi dice: ma che vuoi che sia farti un bicchierino! mentre mi sto scolando una bottiglia di gin, e penso che forse ho un problema…
    Sulla legge sono d’accordo però – spero di non essere fraintesa – la legge può tutelare, difendere, risarcire, dipanare in modo più equo certi conflitti, questo sì dovrebbe fare. e davvero. Ma insisto che il primo tassello è partire da sè. ricostruirsi dentro, anche attraverso una psicoterapia mirata. Mirata anche ad accettare di poter avere una nuova vita senza sentirsi in difetto.
    perché nessuna legge potrebbe cambiare dentro dei figli che vedono la madre solo per portarle dei pantaloni da accorciare. Mentre un aiuto psicologico può forse aiutare una donna che sta scivolando nell’alcool perché i suoi figli non accettano che lei abbia salvato se stessa da un morbo. Che viva.

    Non so se mi sono spiegata, ovviamente il tema è complesso.

  9. 79
    fl53 -

    si si, infatti avevo scritto ‘ANCHE’ più forte che potevo.Chi fugge da un lager per prima cosa ha bisogno di ricostruirsi,ma gli serve anche altro se i suoi figli sono rimasti là dentro,vittime infette della’malattia che fa dar calci in testa’. Continua a tornarmi la frase di Luna: @persone che …non hanno ragione, MAI. Non hanno giustificazioni. E il dare calci in testa è una loro malattia che NOI NON POSSIAMO CURARE. Neanche con l’amore.@
    Neanche l’amore…che le prova tutte,che si costruisce pur di ‘esserci’.Si rischia di implodere(cioè compromettere il fisico definitivmente … tumori,infarti,qualunque cosa ‘liberi’ dal vedersi i figli ‘infettati’ dalla malattia della violenza),se l’amore non si allarga a conquista sociale,progresso. 50 anni fa, la mortalità infantile superava il 70% nelle valli dalle mie parti: enterocoliti, febbri, denutrizione in una povertà in cui l’ignoranza spingeva le famiglie a far 10, 14, 16 figli e l’unico appoggio era il prete che benediceva bare, distribuiva rosari, minacciava di inferno il marito e moglie che giacevano evitando di procreare e indicava in povertà, sofferenza e morte la via del paradiso (il discorso però cambiava radicalmente nei confronti dei pochi benestanti).La cultura è cambiata, e questo non accade più.
    Il mio è un sogno, ma tanto vale fare il sogno pià bello:che si riconoscano i sintomi della ‘malattia che fa dar calci in testa’ in tempo per curarla e, meglo ancora, prevenirla.Il conflitto è ‘normale'(e anche utile alla relazione), ma la violenza è patologia: il confine è la sofferenza, fino alla disintegrazione dell’io…c’è un oppresso e un oppressore. La legge non può cambiare un figlio ‘malato dentro’, ma ad altri figli, a future famiglie, servirebbe molto: una legge può mettere in moto mille cose,dalla ricerca alla specializzazione(ad evitare l’ulteriore violenza causata da avvocati, psicologi, operatori impreparati) ma soprattutto

  10. 80
    fl53 -

    diverrebbe ‘normale’ curarsi, una volta riconosciuti i sintomi, proprio come si fa quando in famiglia tutti hanno pustole,mal di pancia, febbre o altri sintomi di malattia (e come si comincia a fare nei casi di abusi fisici).
    L’unico modo per cambiare la cultura tanto da premere sul legislatore è … trovarsi, parlarne, cosa che appunto qui stiamo facendo noi (e altri altrove) e mi congratulo con loro e con noi :DDDDDDDD
    anche se il campo è minato e difficile e spesso chi lo percorre è già ferito …in questo trovarsi si ‘apprende’, si impara moltissimo … è impossibile, altrimenti, spostare la propria esperienza individuale al piano collettivo, a identificare codici, schemi e poi a riportarli nella realtà individuale di altre persone per aiutarle..

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