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Cara Italia

Cara Italia, ti lascio. Dopo anni di amore struggente, devo farlo, non posso più continuare questa relazione tossica. Non farò “ghosting” o non ti scriverò un Whatsapp per poi bloccarti. No! Le mie ragioni te le voglio scrivere e le devi leggere con molta attenzione. Come ben sai, ho quarant’anni, alcuni siti Internet mi definirebbero come fra i primi Millennial oppure come Xennial, poco importa. La nomenclatura generazionale non cambia il fatto che mi hai sempre sfruttato in ambito professionale. Informatica e inglese, mi dicevano, sono il futuro, studiale! E avevano ragione. Sono diplomato in informatica e laureato in lingue straniere. Un po’ tecnico e un po’ umanista. Che bravo, o meglio, che ingenuo! Lo so, lo so, i miei studi mi hanno agevolato nel trovare lavoro. Mi sono ritrovato, studiando e superando concorsi, nella tua pubblica amministrazione per quasi vent’anni, con mansioni diverse, enti pubblici differenti, ma con una certezza: lo sfruttamento delle mie competenze. Io, così entusiasta di lavorare per te, pieno di speranze e di fiducia per il futuro. Sono stato sempre inquadrato con diversi profili professionali, ma mai con mansioni legate al mio percorso di studi. Quindi doppio lavoro: quello per cui ero stato assunto e quello che mi affibbiavano i tuoi super manager che, per inciso, sanno a malapena parlare inglese e il computer lo detestano. Che fosse un extra lavoro nell’ambito digitale oppure traduzioni dall’inglese, poco importava. Alla tua pubblica amministrazione interessava solo non remunerare. Lavoro gratis, evviva! Fare carriera? Nemmeno a parlarne. Ma sai, cara la mia Italia, avrei potuto soprassedere al disagio lavorativo. Avrei potuto chiudere entrambi gli occhi vedendo gente senza competenze fare carriera solo per le loro raccomandazioni e non per le loro capacità. Se solo tu mi avessi evitato discriminazioni nella vita quotidiana. Maledetta! Forse eri gelosa perché mi sono innamorato di un uomo e mi sono sposato con lui. Ah no, scusa la terminologia, unito civilmente. La parola matrimonio, usata per noi, ti offendeva troppo. Io, che ho sempre vissuto la mia omosessualità con naturalezza, accettato in famiglia, ho dovuto invece subire le tue angherie. Fin dal principio ce l’hai messa tutta per farmi sentire diverso, come se fosse un crimine amare qualcuno. I tuoi ripetuti tradimenti legislativi e le tue finte aperture mi hanno deluso profondamente. Ti ho perdonato, ma tu sei recidiva, e l’hai rifatto più volte. No, non abbocco più all’amo del tuo inganno, quando mi prometti uguaglianza e rispetto e poi mi pugnali alle spalle. Non ti credo più, mi dispiace. Mi hai ferito quotidianamente, in ogni modo possibile. Ti dico una cosa, anche se ti ferirà, ma te la meriti: mi innamorerò sicuramente di un’altra nazione. Francia, Spagna, Belgio, Portogallo, Germania, chi lo sa. Non te ne deve importare più nulla. Non venirmi a cercare quando vivrò libero e sereno in un altro territorio. Non voterò più per te. Non mi mancherai. Non mi mancherà la tua “grande bellezza”, quella di cui ti vanti tanto. È vero, devo dartene atto, la tua bellezza è meravigliosa e unica cara la mia Italia, ma con me sei stata proprio stronza. Addio!

Lettera pubblicata il 13 Novembre 2021. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Categorie: - Cittadini - Gay - Lavoro - Me stesso

La lettera ha ricevuto finora 1 commento

  1. 1
    Ladylilli -

    Hai ragione lo stato é il peggior padrone se sei solo un onesto e competente lavoratore..

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