Basta silenzi, basta trasferimenti, basta abusi!
In questi giorni, un nuovo caso ha scosso la coscienza pubblica: in una scuola religiosa di Trento, un sacerdote è stato denunciato per aver abusato sessualmente di una bambina di soli 11 anni. Un fatto gravissimo, che non può essere archiviato come episodio isolato. Perché non lo è. Da nord a sud, emergono testimonianze di bambini e bambine violati nella loro fiducia, nella loro innocenza, nella loro psiche. Troppo spesso, questi abusi avvengono in ambienti che dovrebbero essere luoghi di protezione e crescita: scuole religiose, parrocchie, oratori. Troppo spesso, i responsabili sono uomini che indossano l’abito talare e che approfittano della loro posizione di autorità per compiere atti devastanti. E cosa fa la Chiesa? Quando va loro “male”, li manda in un centro di rieducazione a Roma. Ma nella maggior parte dei casi, li sposta. Li trasferisce. Li ricolloca. E così, il ciclo ricomincia: nuovi volti, nuove famiglie ovviamente ignare per comprendere improvvisi trasferimenti, nuovi bambini da ferire. Il documentario Mea Maxima Culpa: Silence in the House of God ha mostrato con coraggio e precisione come, in alcuni casi, il Vaticano abbia gestito le denunce di abusi con corrispondenze riservate, ritardi sistematici e accordi di riservatezza. Secondo le ricostruzioni del film, la Congregazione per la Dottrina della Fede, guidata all’epoca da Joseph Ratzinger avrebbe ricevuto segnalazioni gravi, ma spesso risposto con silenzi o trasferimenti. Non è una teoria: è una denuncia documentata. Un caso emblematico è quello dell’Istituto Antonio Provolo di Verona, dove decine di bambini sordi sono stati abusati sessualmente, fisicamente e psicologicamente da sacerdoti e religiosi tra gli anni ’50 e ’80. Le testimonianze raccolte parlano di violenze sistematiche, spesso consumate in colonie estive come quella di Cervia. Le denunce sono emerse solo decenni dopo, e in molti casi i reati risultano prescritti. Alcuni sacerdoti coinvolti sono stati trasferiti in Argentina, dove sono stati condannati fino a 45 anni di carcere. Il silenzio istituzionale e la protezione sistemica hanno permesso che l’orrore si ripetesse altrove. Alcuni racconti parlano di confessioni interminabili, in cui il sacerdote insiste nel chiedere dettagli intimi e imbarazzanti, generando nei piccoli un senso di colpa e vergogna. È una violenza sottile, ma non meno distruttiva. È manipolazione. È abuso. È tempo che il Vaticano, e il Santo Padre in prima persona, smettano di limitarsi a riconoscere che “il problema esiste”. Serve un protocollo obbligatorio di valutazione psicologica e psichiatrica per chiunque desideri entrare nel sacerdozio. Perché la “chiamata” non può essere accettata senza discernimento. Troppe volte si è rivelata il rifugio di personalità disturbate, incapaci di vivere la propria sessualità in modo sano e responsabile. I sacerdoti che compiono abusi devono essere rimossi immediatamente dallo stato clericale e consegnati alla giustizia ordinaria. Non può esistere una rete di protezione internazionale che consenta loro di nascondersi dietro la struttura ecclesiastica. I pochi sacerdoti onesti, che meritano rispetto e gratitudine, dovrebbero essere i primi a pretendere trasparenza e condanne esemplari. L’innocenza dei bambini non può essere sacrificata sull’altare della reputazione istituzionale. Ogni giorno in cui si tace, si protegge, si minimizza, è un giorno in cui un altro bambino rischia di essere ferito per sempre. Questa lettera è un grido. Un appello. Un atto di responsabilità civile. Perché nessun abito, nessuna gerarchia, nessuna istituzione può giustificare il silenzio davanti all’orrore.
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