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Tempesta emotiva Castaldo Michele

LA TEMPESTA EMOTIVA DI CASTALDO MICHELE

Sono la counselor educatrice volontaria che ha parlato con Castaldo Michele per circa un anno dopo l’omicidio di Olga Matei.
Credo di non violare alcun segreto professionale in quanto quello che scrivo è già sulle pagine di giornali e nelle trasmissioni tv.
Con queste mie parole voglio schierarmi dalla parte del giudice che ha coniato il termine di “tempesta emotiva”, perché a mio parere proprio di questo si tratta.
Non giustifico assolutamente quanto commesso da Castaldo, ma spiegarlo significa prevenire altri avvenimenti simili, purtroppo sempre più numerosi, aiutando gli uomini a controllare le loro “tempeste”. Sarebbe auspicabile vi fossero centri di ascolto per questi uomini fragili, in difficoltà che non sopportano separazioni e sconfitte, che non sanno affrontare difficoltà della vita e non lasciarli in balia di volonterose cartomanti che possono non disporre di competenze adatte in questi drammatici casi.
Incontrai la prima volta Michele Castaldo al carcere di Rimini e devo dire rimasi spaventata dal suo aspetto, era uno zombie, sedato con lo sguardo fisso, sembrava in trance, parlava pochissimo, non sorrideva, sembrava morto.
Io seguo la filosofia di Don Oreste Benzi che dice “L’uomo non è il suo errore”, ma va messo di fronte al suo errore. Non fu facile per me sapendo quello che aveva compiuto mettere da parte ogni giudizio e pormi in ascolto.
Nei giorni seguenti cominciò ad aspettarmi, ad avere fiducia in me e mi raccontò la sua storia:
Era originario di un paesino campano, suo padre aveva un impresa edile dove egli giovanissimo fu costretto a duro lavoro, un padre padrone come tanti controllava la sua vita, violento e denigrante nei confronti del figlio.
Incontrò una ragazza, giovanissima pure lei e presto rimase incinta. Suo padre allora li fece abitare in famiglia e a Michele fu raddoppiata, se possibile, la mole di lavoro per mantenere suo figlio e la coppia ebbe giorni difficili da affrontare, tra cui la malattia di leucemia e la morte di un figlio.
Venne il giorno che andarono ad abitare da soli ma il matrimonio presto naufragò, Michele dice che fu tradito e abbandonato, di certo la coppia collassò sotto il peso delle difficoltà, senza alcun aiuto da parte delle famiglie.
Dopo alcuni anni incontrò un altra donna, sembrava andasse tutto bene, ma anche lei lo tradiva quando lui andava al lavoro, poi lo abbandonò e portò con se una grossa somma di denaro che Michele aveva risparmiato. Il mondo gli crollò addosso.
Tentò il suicidio. Per lui questo fu e sarà sempre la sua unica via di fuga.
Passarono alcuni anni in solitudine, poi una sera a Riccione incontrò il sogno della sua vita, la bella Olga Matei, vagarono tutta la notte in un sogno d’amore.
Ogni volta che parlava di lei, diceva che era stato il suo grande amore, la sua vita.
Tutto era concentrato in lei, ogni suo respiro era per lei, ogni sua sconfitta ora era ripagata da quell’attaccamento morboso.
Certo fu proprio questo vivere in lei e per lei, in un rapporto simbiotico, che stancò la bella signora moldava, ogni volta che lei era al telefono, magari succedeva spesso, lui già immaginava il ripetersi di scene di tradimenti già vissuti.
Poi raccontò che una sera avevano bevuto, litigato, lei voleva lasciarlo, lui non resse alla paura di essere solo e tradito per l’ennesima volta e un turbine l’avvolse e avvenne l’omicidio. Poi tornò a casa e ritentò il suicidio.
Nel periodo in cui parlai con lui, era ancora ossessionato dalla figura di lei, l’amore unico della sua vita, il suo sogno. Tutte le notti la sognava.
Diceva che voleva morire per raggiungerla. Non anelava ad alcuna libertà.
Come programma rieducativo parlammo sempre del male da lui commesso, del dolore causato alla bambina figlia della signora uccisa, ma lui lo sapeva fin troppo bene.
Ogni giorno della sua vita fu un peso, un ostacolo al raggiungimento della donna tanto amata ma che aveva uccisa.
Nella vita non possedeva più nulla, aveva dato ciò che possedeva alla figlia di Olga, non aveva più nessun affetto, i figli lo disconoscevano, era solo in ogni senso, solo con le sue colpe, un fantasma dolente in cerca del suo amore.
Poi la sentenza d’appello di questi giorni che lui sicuramente non ha gradito, avrebbe preferito la pena di morte per fuggire, in mancanza ha ritentato il suicidio e versa in condizioni disperate.
Se la visita psichiatrica lo ha ritenuto in grado di intendere e volere, certo non si può non porsi qualche dubbio sul suo equilibrio emotivo psicofisico passato e presente e di lui si dovrebbe provare un minimo di pietà umana e cristiana, quale persona gravemente disturbata, ma senza scusare l’atto compiuto.
Per quanto riguarda la condanna non discuto, dico solo che rinchiudere i delinquenti in carcere per uno o cento anni non serve a nulla, serve solo a noi per isolare i problemi e farci sentire più sicuri. E’ necessaria una seria opera di conversione ovvero cambiare il modo di pensare di chi sbaglia, mostrare loro che scegliere il male non è l’unica scelta possibile, ma ve ne sono di alternative. Quindi più educatori e meno muri.
Mi auguro che la “ tempesta emotiva” che in questo caso è servita a spiegare la situazione, venga ora dimenticata per sempre, cancellata e non venga mai più usata per spiegare quello che in fondo si può chiamare con un solo nome, “femminicidio”.
Ribadisco però che questo termine ha avuto il merito di porre i riflettori sul fatto che è necessario che vada fatta educazione agli uomini già dalla più tenera età a scuola e continuamente nella loro vita insegnando loro a riconoscere e controllare le proprie emozioni e a farsi aiutare senza arrivare a gesti estremi.
E’ necessario spiegare come la donna non sia proprietà maschile, né un oggetto da cui non ci si può separare. Ognuno deve trovare dentro di sé il senso della propria vita, indipendentemente dai propri compagni, senza fondare la propria esistenza sul possesso del partner.
Sapere gestire le separazioni, i lutti, per gli uomini ora è urgente e improrogabile, vanno aiutati, prevenire è più importante che giudicare dopo che siano avvenuti i terribili crimini e violenze di cui sentiamo ogni giorno parlare.
grazie
Buono Anna Maria
counselor penitenziaria volontaria

Lettera pubblicata il 13 Marzo 2019. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Categorie: - Attualità - Società

La lettera ha ricevuto finora 13 commenti

Pagine: 1 2

  1. 1
    Donna -

    Io credo che nessuno abbia il diritto di togliere la vita ad un altro essere umano. Nessuno. Non era in pericolo la propria vita, tanto da doversi difendere fino ad uccidere. Era a rischio il proprio “status”, di uomo, di compagno, di accoppiato. Punto. Una questione personale, propria, di equilibrio emotivo. Mi spiace ma se l’impeto, il tormento emotivo, l’incapacità di crescere e di badare a sé stessi, quei 2 minuti di incazzatura incontrollabile, che al terzo minuto già è passata, perché questo è, devono essere utilizzati come giustificazioni, attenuanti, di atti tanto violenti, quale togliere la vita ad altri, io non ci sto. Tempesta emotiva un paio di palle! Porsi dei dubbi sul suo equilibrio psicofisico? certo, senz’altro, ma non può considerarsi un mezzo alibi, uno sconto, una motivazione che spiega, magari non giustifica ma spiega, il grave e crudele atto compiuto.

    Il suo futuro? il suo destino? la sua riabilitazione? Io me se sbatto. penso al futuro, destino, riabilitazione di quella bimba rimasta senza madre perché uccisa per mano del solito uomo incapace di vivere solo con le proprie risorse, ma sentirsi tale, uomo, solo attraverso il presunto e ossessivo possesso di una donna.
    Al di là di tutto, io penso che proprio per il periodo storico delicato, dove il femminicidio è più diffuso di un quotidiano, le pene dovrebbero essere esemplari e severe, altro che rese nulle e ridicole da motivazioni, ancorché esistenti e reali, inaccettabili.

  2. 2
    Anna Maria Buono -

    Sono d’accordo…quello che volevo mettere in evidenza è che è ora di prevenire con educazione nelle scuole e aprendo dei centri che aiutino gli uomini a controllare le loro tempeste, non ho giustificato nulla, anzi legga bene.Nemmeno poi son d’accordo con la riduzione della pena. Certo è che non possiamo continuare a rammaricarci di ciò che succede dopo..è ora di agire socialmente e prevenire. Anna Maria Buono

  3. 3
    Golem -

    Hai detto delle ovvietà.

  4. 4
    Yog -

    Gli “uomini”, intesi come maschi, se sono tali non devono essere affatto aiutati, non gli serve. Se ne hanno bisogno, sono – legittimamente -un’altra cosa, parliamo di gente disturbata o altro. Poi se uno sbarella e accoppa pure, è giusto che marcisca in carcere tipo compost e amen, inutile pensare a reinserimento e rieducazione.

  5. 5
    Anna Maria Buono -

    Dire che gli uomini non devono essere aiutati significa essere ciechi e non avere visto la cronaca, poi io dico di più bisogna mettere nelle scuole la materia EDUCAZIONE SENTIMENTALE, sia per uomini che donne. Educare alla visione che la donna non è proprietà di un uomo.Educare alle separazioni della vita, senza uccidere.
    La costituzione dice all’articolo 23 che la pena deve avere il fine della riabilitazione. Ogni volta che si mette un uomo in gabbia è perchè abbiamo fallito come società, verrà il giorno che saranno molti di più in gabbia che fuori. Io sono un educatrice e dico che una seconda possibilità va data a tutti. Sono responsabile di un progetto educativo di un ex bandito della mala del Brenta, Giampaolo Manca, un progetto che mi vede orgogliosa di come un uomo può cambiare. Ora giriamo assieme l’Italia e il messaggio di Giampaolo Manca è NON FATE COME ME, diretto ai giovani. Gli slogan superficiali, mettili dentro e butta la chiave, possono essere giustificabili in chi agisce e pensa in modo qualunquistico, ma chi vuole cambiare la società deve fare altro.PREVENIRE.

  6. 6
    rossana -

    Anna Maria Buono,
    concordo con: “è ora di prevenire con educazione nelle scuole e aprendo dei centri che aiutino gli uomini a controllare le loro tempeste”.

    personalmente, non con specifico riferimento al caso in questione, di cui non conosco che quanto raccontato da lei, sono favorevole a tutte le attenuanti onestamente applicabili, facenti capo alla resa dei conti in ambito sociale. alla propria resa dei conti, ognuno, volente o nolente, dovrà prima o poi pensare in privato, magari anche soccorrendo al meglio delle proprie capacità e possibilità al dolore e alle rifficoltà causati ai parenti delle vittime.

  7. 7
    Golem -

    Gentile Del Buono, mi permetta di dirle che le sue proposte sul ruolo della scuola nel merito della questione, oggi, in una società iperconnessa quanto bombardata da messaggi contradditori ma tutti tesi ad offrire immagini di un sè pressochè irraggiungibile, suonano come le famose “pezze calde” usate per curare un cancro.
    La scuola oggi non è altro che una minima parte di una società che con questa può darsi solo una veste istituzionale, non certo educativa sui valori. Valori che peraltro non si capisce bene quali debbano essere.
    Sarebbe troppo lungo discutere le cause dei femminicidi, trovandovi tutte le ragioni, attenuanti o giustificazioni che si vogliono, ma resta il fatto che quel gesto decreta una sconfitta dell’identità “maschile” in chi lo compie, identità che non si è evoluta verso quella di “uomo”.
    L’inevitabile emancipazione femminile porta con sè questi prezzi da pagare, prezzo che paga chiunque voglia affrancarsi dalla dipendenza per la propria libertà.
    Purtroppo la Storia ci insegna che è con il sangue versato, non solo metaforicamente, che si conquistano le libertà. Parlare di educazione sentimentale a scuola, in questa “scuola”, sperando che possa sortire gli effetti sperati in una società complessa come la nostra, è come voler riparare un televisore che fa le bizze dandogli qualche botta con la mano.
    Quell’uomo che ha ucciso per una “tempesta emotiva”, non lo recupera più nessuno. È già fuori dal futuro, proprio per le ragioni di quel gesto.
    Saluti.

  8. 8
    Angwhy -

    Questa cosa di insegnare nelle scuole cose che dovrebbero essere scontate fa un po ridere.gli studenti se ne fregano e quando venivano da noi a proprinarci qualche brillante iniziativa era solo l’occasione buona per fare caciara.è il buon senso che manca quello che dovrebbe arrivare dall’alto,e ho detto tutto

  9. 9
    Anna Maria Buono -

    Grazie gentili signori di quanto scrivete. Io non sottovaluterei il messaggio ai giovani. Io con Giampaolo Manca il braccio destro di Felice Maniero, che ha intrapreso un percorso riabilitativo con me, andiamo nelle scuole a parlare ai giovani. Devo dire che sono molto attenti, fanno molte domande si emozionano.Gli insegnanti dicono che è grande l’impressione suscitata riguardo al cambiamento. di certo dobbiamo fare qualche cosa …non solo piangere ai funerali delle donne uccise.Io penso alle scuole, anche in Libano ho parlato con i giovani, molti Musulmani, i giovani sono sempre meravigliosi, sono loro che educano a casa.Io ho pensato a questo ma ognuno è chiamato a contribuire con idee e attività, questo deve essere il cambiamento lo dobbiamo fare per le donne, cambiare gli uomini, farli crescere,devono imparare a gestire le separazioni. Scriviamo in fb, facciamo incontri, non abbiamo paura di essere controcorrente, chi ha contribuito ai grandi cambiamenti è sempre stato solo e il primo. Se qualcuno ho visto condivide ..siamo già in due o tre o cento ..Cordiali saluti Anna Buono

  10. 10
    Yog -

    Mbò. Io abito vicino a una scuola superiore, così per dire, ma qui a Quarto l’artro venerdì c’era un bravo ggiovane cheddiceva: Usla! Oggi niente scuola perché si fa siopero per l’ambiente, io gli ho detto: Mbè, ambiente quale, dato che viviamo a Quarto, e lui mi ha detto che andava a votare per le primarie del piddì, io gli ho detto che erano già state fatte e lui mi ha risposto: Chissenefrega.
    Questi sono i tuoi giovani der cambiamento. Vincono facile.

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