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Lettera da un fisioterapista che lavora in RSA

Per il Dott. Mentana

Ho ascoltato con grande attenzione la toccante lettera scritta dall’anziano deceduto in RSA e trasmessa nel TG delle 20 su la7 e, dopo tante riflessioni, mi sono deciso a scriverle. Sono un fisioterapista che lavora in RSA da tanti anni. Sto continuando a lavorare anche in questo periodo molto difficile a seguito del coronavirus, anzi, i responsabili mi hanno chiesto di aumentare le ore di presenza in struttura perché ora, proprio ora, che i famigliari non possono entrare, i nostri anziani hanno tanto bisogno di sentire una parte di quell’affetto che solo i famigliari sanno regalare. Ascoltando la sua lettera all’inizio ho pensato: “Questa potrebbe averla scritta William”, un nostro ospite che non c’è più..me lo ha ricordato…; poi via via la lettera diventava dura nei confronti di quegli operatori che ogni giorno si curano non solo del corpo dei vostri cari ma anche della testa e del cuore. Sono a raccontare una storia diversa, una storia fatta di operatrici e infermiere che per stipendi bassissimi si occupano dei nostri padri, madri, nonne con grande dedizione, cura e sì , anche amore, in una fase della vita dove tutto questo i famigliari, per le più disparate ragioni, non sono più in grado di dare. Questi sono gli stessi angeli della corsia che ogni giorno descriviamo come eroi, anche loro vestite come astronauti, ma che continuano a trasmettere calore anche attraverso quelle tute protettive. Nella RSA sono morte tante persone, ma fino alla fine sono state curate e seguite come e più che negli ospedali, soprattutto in quell’aspetto che non dovrebbe mai mancare, la cura del benessere nella sua totalità. Mi sono deciso a scrivere per quei famigliari che ogni giorno affidano i loro cari alle nostre cure, perché sentendo quelle parole si sentiranno certamente morire di sensi di colpa: non fatelo, i vostri genitori non sono “numeri”, ogni giorno c’è lo sforzo di farli sentire benissimo. Non potremo certo mai sostituire il calore della famiglia, ma ogni giorno proviamo a coprire quel vuoto facendo sentire loro un po’ di casa qui dentro. Appena le strutture riapriranno, tornate a trovarli e continuate a donare quel calore che solo un figlio può dare ma state certi a tutto il resto pensiamo noi; non “perché temiamo che domani venga fatto a noi ciò che abbiamo fatto”, ma perché siamo professionisti e sappiamo volere bene ed affezionarci anche a persone che assistiamo per lavoro e piano piano diventiamo un po’ della loro famiglia, quella di Adalgisa, di Irene, di Dante e di tanti altri che hanno, loro stessi , deciso di restare a vivere con noi perché si può stare bene anche qui ,come in una famiglia. E i giorni dove “saremo più nervosi o scorbutici”, scusateci se potete, anche in famiglia ci sono i giorni difficili.

Lettera pubblicata il 24 Aprile 2020. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Categorie: - Enrico Mentana - Salute

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