La fine improvvisa di un amore
di
Loredana
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Ma allora se davvero ti stai dicendo (tu generico) troppe cose da solo/sola nell’orecchio, e non puoi andare, perché non è il momento, in una sala da ballo a ballare con gli altri, forse esistono anche dei momenti in cui esiste un sano “fare tappezzeria”. Sano nel senso che alle volte, se quando vai a fare una passeggiata macini chilometri ma dicendo a te stesso sempre le stesse cose, e quindi scarichi fisicamente, ma non senti davvero il terreno sotto i piedi, l’aria che ti arriva sulla faccia… forse ci sono anche dei momenti in cui, per non guardarsi i piedi, e non implodere nel loop, è meglio sedersi su una panchina e osservare la gente che passa. non con giudizio, ma con sana curiosità. X stare un po’ fuori di sè. Non pensando a cosa pensano gli altri, se sono più risolti, più felici, se quei due che si baciano domani piangeranno, e come fanno a crederci ancora, o perché loro hanno capito qualcosa che tu non sai… ma osservare e basta. Osservare il movimento, osservare i colori, le espressioni, incuriosirsi un po’, in modo sano, rispetto a quello che sta intorno. Perché il malessere a volte è egocentrico. E l’essere egocentrici è implosivo. Ma allora,Luna, sei poco coerente???
Non dicevi che bisogna stare dentro di sè?
Quello e quello, e bisogna vedere come e quando.
Ascoltarsi, e saper anche uscire quando è la testa che comanda con il loop. Perché quando la testa comanda troppo, e fa bum bum bum, in realtà sta scappando dalla pancia, e allora per ricentrarsi alle volte bisogna uscire e poi rientrare. Come quando stai litigando con qualcuno ed esci a prendere aria. E poi rientri e riesci ad affrontare lo stesso discorso con più calma. Quando si litiga con se stessi è peggio, lo so. Ma la smetti, Alonso, di litigare con te? 🙂
Quando stiamo bene siamo entrambe le cose, siamo dentro e siamo fuori, siamo centrati ma accogliamo quello che sta intorno, come quando regoli l’ascolto su diversi piani, per sentire un pezzo di discorso di quello che sta a destra o a sinistra quando stai bevendo il capuccino al bar, perché parla di qualcosa di interessante e intervieni nel discorso. O quando, camminando per strada parli al telefono, riesci ad evitare le cacche di cane, e magari ridi per quello che ti stanno dicendo, ma ti accorgi che dall’altra parte della strada c’è il tuo ex compagno di scuola e gli fai un cenno di saluto… Ok, che esempi scemi, ma voglio dire che quando si sta male spesso si sta su un piano di ascolto solo, in modo implosivo.
E allora siamo sicuri che la strada sia il sano cinismo, che è chiusura, e non invece fare lo sforzo, sano, di riprendersi i vari piani di ascolto? Di ascoltare quando si può aprire e chiudere. Di dirsi: ora voglio, ora non voglio.
Può darsi che abbia detto una marea di minch… ma il senso è: piuttosto che litigare con te vai a vedere i pesci rossi all’acquario. Vedrai che quando torni ti parli con più calma. Almeno credo! :PPPPPPPPP
Bacioni 🙂
Ho amato 2 uomini nella mia vita e li ho avuti perchè li ho voluti a tutti i costi, con tutte le catastrofiche conseguenze che ne sono derivate.
Io non mi son spostata al primo malessere, mi son limitata a protestare pensando di essere ascoltata e medicata perchè io facevo cosi.
Col mio ex marito, con cui son stata sposata 18 anni, la sofferenza, il malessere, i pianti erano diventati una forma di vita che ormai consideravo normale, sopportabile grazie ai miei figli, grazie al fatto che loro erano felici e io mi beavo della loro felicità.
Mi limitavo a lamentarmi senza agire con la speranza che prima o poi le cose si sarebbero sistemate perchè lo amavo e senza di lui mi sentivo persa.
Un giorno scoppiai e lo buttai fisicamente e letteralmente fuori di casa, fu dura ma ci riuscii, ancora oggi lui non si arrende e son passati ben 7 anni.
Mi riprendo, capisco i miei errori, mi riprometto di non rifari e rinasco a nuova vita piena di energia, piena di voglia di fare, voglia di cambiare atteggiamento nei confronti della vita, ora vengo io per prima e mi prendo tutto il mio spazio.
Poi arriva lui dopo 2 anni, quello che mi ha portato a conoscere e rifugiarmi in mezzo a voi, qualche titubanza all’inizio ma poi mi butto, me ne innamoro e lo voglio, disperatamente lo voglio.
E mi ritrovo a perdonare, giustificare, comprendere e a rifarmi del male.
Di nuovo scoppio e scappo, anche se stavolta è stata molto più faticosa la fuga perchè io non me ne volevo andare e lui, logicamente, non mi faceva andare, ma dovevo.
Oggi son libera da questi “amori malati”, ma son piena di una me che si ripete da mesi perdonati, le cose son andate così, vai avanti, gioisci di ciò che hai e che sei ora, del fatto che non soffri più per dei mostri, non piangerti addosso per come ti son andate le cose, non vedere subito nero in qualsiasi persona ti si avvicini, datti tempo e anche questi pensieri paseranno, non sentirti smarrita in balia del vuoto e perennemente attenta che il lupo cattivo non ti mangi, rilassati.
Poi arriva la rabbia, una rabbia sorda, intensa, perchè non starei così se fossi scappata da quelle situazioni prima che mi annientassero, se mi fossi messa al riparo, perchè ho 48 anni tra qualche giorno e la mia vita affettiva non è mai stata come io avrei voluto,ho provato e mi sento addosso tutta la responsabilità per come mi son trattata.
Di che ho paura?
Forse dei miei pensieri…
Luna,
w le minch… che dici, a motli, me per primo hanno fatto un mare di bene!
Alonso, ciao,
giuro che se ti conoscessi di persona di “ribalterei” sottosopra in senso buono, mi viene rabbia leggere le tue parole, il continuare a processarti per quello che è successo. Basta, guarda avanti, sbagliato o no(sempre che tu lo abbia fatto) il passato è passato, non fermarti, su quello che è stato, ma pensa a quello che vorresti vivere ed essere, agisci di conseguenze, fallo pero’, affronta te stesso e le tue paure, sono sicuro che nel giro di breve tempo tt cambierà, ciao
Ma non è nemmeno paura quella che ho, la chiamerai più sfiducia, perdita di speranza, o stato di inerzia, tutta volta a capire cosa c’è nel più profondo di me stessa che non va bene, che fa si che io non mi arrendi e non mi senta forte a ciò che l’istinto mi suggerisce, ma che addirittura soffoco invece quando si tratta di aver paura di soffrire per amore, per poi scoprire che soffro lostesso e forse di più perchè non mi son ascoltata.
Io ricordo che dentro di me dicevo no, non va bene, così mi ferisci, questo mi ha fatto male e la mia bocca sorrideva e taceva; i miei gesti a volte si ribellavano facendomi apparire contradditoria e creando uno squilibrio ispiegabile in me con conseguente enorme fatica per tornar a vedere lineare ciò che lineare non era, per rimettermi davanti agli occhi una pace che in realtà non c’era.
Non amo sentirmi sconfitta?
Non accetto di sbagliare nei giudizi o nelle scelte?
Voglio farmi accettare a tutti i costi?
Potrei aggiungerne 100 di domande di questo tipo la risposta è sempre quella un pò si, un pò no, un pò me ne frego dipende dalla situazione.
Forse non accetto me stessa…Bella confusione vero?
Grazie per la pazienza di leggermi….
Fino a poco tempo fa scrivevo anch’io qui, cari compagni e compagne di sventura, poi però grazie anche molto a voi e grazie alla mia voglia di vivere perchè sono una persona che lotta nonostante le difficoltà sono riuscito a stare meglio, almeno con la mia coscenza, sì, perchè il primo vero passo è perdonare se stessi…
Una volta riacquistato l’equilibrio mentale provate ad andare su questo sito:
seducere com
Me lo aveva consigliato un amico e vi garantisco che ne ho tratto grande giovamento, anche perchè è pieno (soprattutto nel forum) di persone interessanti e cariche, persone vere, che ti spronano con consigli e commenti a migliorare te stesso/a oltre il limite e diventare quello che veramente vuoi essere, che sia calmo e rilassato o aperto verso tutti o quello che vi pare… E’ solo un consiglio, ma vi pregherei di darci almeno una buona occhiata, perchè dice cose sensate e aiuta veramente a seducere se stessi, e con noi stessi il mondo che ci circonda…
E ricordate che non siete soli… mai.
Margherita: se ti fai tutte queste domande vuol dire che ti vuoi bene (bombarderesti di domande uno che ti sta sulle scatole?) e se sei alla ricerca di risposte vuol dire che stai facendo di tutto per accettarti.
Probabilmente stai aspettando di trovare la risposta “giusta” per poterti conoscere veramente e finalmente accettarti (come si fa ad accettare chi non si conosce?).
Io non mi conoscevo. Non mi sono mai domandata nulla e tantomeno mi sono data delle risposte.
Ero sempre concentrata su qualcun’altro. Sapevo tutto di lui e nulla di me. Assurdo!
Ora mi sto parlando più di quanto abbia fatto in tutta la mia vita e sto scoprendo cose per cui alle volte dico….se mi incontrassi mi sposerei.
Scusa il tono scherzoso, è per alleggerire ma un pò è vero…..
Dobbiamo conoscerci bene.
Parte tutto da lì. Il resto è una conseguenza.
Il riprendersi, il ripartire, il capire che non abbiamo nulla da perdonarci, il liberarsi da una catena che ci soffoca e ci fa soffrire ma che, nonostante tutto, non vogliamo sciogliere.
Alonso: rubo a Luna una frase che mi ha detto tempo fa. Parlava di una “banca” e di come convogliarci dentro il nostro tempo, la nostra energia. Per stare meglio.
Ho creduto in quella frase e ho provato a fidarmi di lei e di tutto il suo lunghissimo treno di parole!
Ed ora sto cominciando a stare meglio. A volermi bene, a dedicarmi il tempo dovuto. Ed ho scoperto che c’è ancora più spazio e tempo per gli altri.
Prova a farlo anche tu.
Buon weekend a tutti.Un bacio!
Grazie a tutti per questo treno di voci che mi ha commossa.
Forse perché più che mai oggi mi ha colpita l’effetto cordata. Che c’è sempre. Ma oggi più che mai ho visto davvero la cordata 🙂
“Sperare e’ importante.
Sperare e’ tutto ed io vorrei che non ci fosse essere vivente ad esserne privo.
Per quello scrivo e leggo ancora.
Spesso mi ripeto ma non importa”.
Grazie Anna.
Grazie per aver inconsapevolmente dato voce alla ragione, istintiva, per cui, probabilmente, scrivo qui.
Ho sempre letto, scritto, risposto d’istinto. Senza chiedermi perché.
Sapevo che per me era importante.
Che faceva parte del mio viaggio.
Che avevo bisogno di condividere con gli altri delle tappe di questo viaggio. Non di parlare dei buchi neri, ma delle tappe, delle sensazioni buone, della speranza, delle scoperte, quelle buone.
I buchi neri ci sono, non li nascondo, ci lavoro. Ci lavoro attraverso le tappe, e la spinta, di cui parlava Lilly.
Anch’io credo che la speranza sia tutto. Una speranza che non so definire. Forse l’energia, la spinta di cui parlava Lilly, appunto.
O chiamiamola voglia di vivere. Di respirare dentro di sè, senza l’affanno. Di essere creativi, non implosivi, nel vivere.
Per me forse è questo. E molto altro. Indefinibile.
Ma chi se ne frega di definirla.
La verità è che si tratta di sensazioni, chi le ha già provate lo sa.
Mi sono resa conto di tante cose scoprendo che esistevano altre persone ferite da tempeste simili alle mie. Cose che sono servite a me.
Mi sono resa conto anche di come spesso chi viene fuori da quelle tempeste (o ancora ci sta dentro, come avviene in altre lettere) dà alle parole un significato diverso. Quei mondi, quei labirinti, hanno un loro vocabolario. Ed è per questo che, alle volte, chi non sa, perché non ha vissuto le stesse cose, anche in buona fede, non capisce. O dice cose arbitrarie, come: a te piace soffrire, senza rendersi conto che che sta camminando sul cristallo.
E’ per questo che a volte parole dette, anche in buona fede, possono avere effetti devastanti.
Nel libro “Molestie morali” c’è, se non erro proprio lì, un concetto che mi ha colpito molto.
E cioè di come, per chi ha subito molestie morali, possa essere devastante sentirsi dire che è stato anche responsabile di quello che gli è successo.
E’ vero, ma non si è subito pronti a lavorare su quel genere, sano, di senso di responsabilità.
Non si può, perché prima bisogna riuscire a capire cosa, d’altro, possa significare questa parola.
Scelta, responsabilità sono parole piene di energia e di forza. Sono mondi che si aprono e che ti regalano una nuova libertà.
Ma scelta e responsabilità sono parole che hanno avuto un senso diverso nel labirinto. Perché spesso chi ha subito molestie morali o chi ha vissuto in quegli inferni si è sentito anche troppo responsabile di quanto gli stava accadendo. Responsabile di non riuscire a farsi amare bene, in modo diverso. Responsabile di non sapere risolvere le situazioni…
Responsabilità come
senso di inadeguatezza, colpa, ecc ecc.
Non serve che mi dilunghi sul labirinto, perché ognuno conosce fin troppo bene il suo.
Anche “speranza” è una parola che fuori dal labirinto ha un significato diverso.
Una speranza completamente diversa da quella cosa che magari per tanti anni abbiamo creduto di chiamare speranza. E nella quale ci si può affossare davvero.
La speranza che lui/lei cambiasse…
La speranza che le cose cambiassero…
La speranza di svegliarsi una mattina e scoprire, di colpo, una vita diversa…
La speranza che l’amore, da solo, potesse aggiustare le cose, qualsiasi cosa.
La speranza che qualcosa, da fuori, venisse a strapparci da un malessere tanto grande quanto indefinibile, spesso negato, nascosto, portato come una malattia cronica per cui nessuno ha ancora inventato una cura.
Portato con vergogna. Perché, a chi è forte, queste cose non succedono.
Perché a me non sarebbe mai dovuto succedere.
Perché è chiaro che a me non può succedere che questo.
Perché se mi trovo in questa situazione vuol dire che me la sono cercata.
Perché se mi affosso in questa situazione vuol dire che non sono abbastanza intelligente da uscirne.
Non è vero. Vorrei scriverlo su dei cartelloni che non è vero.
Vorrei ci fosse un modo, il più semplice possibile e veloce, per fare addirittura prevenzione. Vorrei che le persone potessero non entrare nemmeno nei labirinti.
Ma non si può.
Quello che so, forse, è che il labirinto è una giungla infestata da concetti sbagliati che portano spesso a interpretare male le proprie sensazioni. A fare una fatica immonda, ma nella direzione sbagliata.
Ciascuno sa per sè. Per uscire dal labirinto ciascuno trova la sua chiave, se finalmente riscopre la spinta giusta, si mette sulla direzione del proprio star bene. Riesce ad imparare piano piano un nuovo vocabolario.
Allora piano piano la vita comincia a farsi largo in quella giungla. Vede dissolversi erbacce gigantesche che gli hanno infestato il cammino.
Ciascuno trova da solo la sua strada, attraverso sensazioni nuove che sostituiscono quelle vecchie, consapevolezze nuove che si fanno largo tra luoghi comuni o privati che gli hanno infestato la vita.
Una cosa che ho imparato è che ci vuole energia, e voglia di guarire, ma anche pazienza.
Con se stessi.
La pazienza di saper premiarsi per ogni passo fatto, attraverso la gioia di sentire il benessere che ci germoglia dentro, e la pazienza di capire che non si può uscire in un giorno dalla giungla. Pazienza verso ogni ricaduta, pazienza verso il proprio stato convalescente.
Pazienza verso coloro che non possono proprio capire, perché non sanno cosa sia il labirinto.
Io mi commuovo per ogni passo mio, e per quelli degli altri. Che sia un passo avanti o uno apparentemente indietro. Perché so che ci vuole pazienza. E indulgenza.
Altra parole che, fuori dal labirinto, hanno un significato diverso.
Un bacio grande 🙂
A volte qualcuno mi chiede: “ma la tua storia qual è?”. Ma la questione non è un elenco di fatti. Conta ciò che abbiamo sentito, rispetto all’accaduto, come lo abbiamo vissuto, la percezione che abbiamo avuto di noi e di ciò che stava intorno. Che poi è sempre qualcosa che passa attraverso la nostra percezione.
Ad un certo punto io sono uscita dai fatti, dal ripercorrerli in modo nauseante, e sono andata nelle sensazioni. So esattamente quali sono i momenti, le parole, le circostanze che hanno avuto un valore traumatico. Ma il punto sta in come mi sono sentita. Ed è di questo che parliamo qui.
Spesso qualcuno arriva qui e fa un elenco di fatti. Dice quanti anni è stato con qualcuno, da quanto tempo non ci sta più, o da quanto tempo sta male. Cosa è successo, cerca di capire perché, cause e conseguenze. Per un certo periodo cerca di spiegare chi era lui o chi era lei. Incastrandosi nel fatto di non sentirsi mai abbastanza obiettivo. Sì, è vero, lui/lei mi ha fatto male… però io…
Sì è vero, sono stati stronzi… però quella volta che mi ha regalato un fiore?
Si massacra chiedendosi: ma se avessi fatto “A” invece di “B”? se quella volta, che mi ha detto così io invece di piangere, urlare, impuntarmi, o andarmene
Ero già in viaggio, e di strada ne avevo fatta m olta, e tanta me ne mancava da fare (e ancora mi manca…) quando ho letto un libro che mi ha portato degli elementi in più, che per me sono stati fondamentali, come altri, che ho incontrato lungo il cammino, anche su queste pagine. Le soluzioni non stanno nei libri, è vero, ma gli stimoli stanno ovunque. A volte stanno anche in ciò che ti dice il lattaio, parlando d’altro. Io ho trovato spunti nelle cose più improbabili. Nella signora che, in fila alla cassa, mi raccontava di sua figlia. Nella sensazione che mi dava sentire parlare di una cosa che apparentemente non centrava nulla. Nella rabbia che mi davano certe cose, nella commozione che mi causavano altre.
Il discorso è spesso quanto tu sei aperto ed è anche una fortuna di incontri, con una pagina, delle persone, che da un lato cerchi tu e dall’altro hai la fortuna di fare. Il problema è che quando sei aperto alle volte non hai il filtro. Entra tutto. Entra ciò di cui hai bisogno e ciò di cui non hai bisogno. Capire cosa tenere e a cosa dire “no grazie” non è sempre facile.
In quel libro ho letto una cosa che per me è stata illuminante, perché spazzava via un luogo comune che per me era deleterio. Per me.
Proust, mi pare fosse lui (forse no! :P) diceva qualcosa come:
“Forse lo sanno già tutti, ma io l’ho scoperto oggi e voglio gridarlo al mondo!”.
Ho sempre adorato questa frase. Perché descrive benissimo una sensazione che ho provato tante volte nella vita. Non il fatto di gridarlo al mondo, ma il gusto della scoperta. Della scoperta di qualcosa che, per te, è nuovo e importante. Non importa se nessun altro lo capirà. Che figata, io l’ho scoperto oggi e mi ripeto quanto è figo averlo scoperto e godermi la sensazione!
In quel libro si sfatava un luogo comune. che per alcuni certamente non sarà un luogo comune, ma lo era per me. E cioè che le molestie morali non arrivano per forza addosso a chi non si ama.
A chi non ha equilibrio.
A chi non ha saputo darsi delle risposte valide per stare a galla nella vita anche in un modo soddisfacente, a chi non si è difeso nella vita, anche in modo sano, quando la vita era difficile.
Le molestie morali possono arrivare addosso anche a chi si ama.
Perché entrano nei punti deboli, perché tutti li abbiamo. E ciascuno di noi ha imparato a proteggerli, nel corso della vita, e a venirne a patti, per stare in equilibrio, a volte con le strategie migliori, a volte nel modo peggiore. Migliore o peggiore non secondo un prontuario, ma in termini di costi e benefici, anche emotivi.
E possiamo incontrare persone che entrano in punta di piedi e con grazia o persone che entrano con una mazza da baseball.
Nella mia vita, per una serie di ragioni, è arrivata una piccola catastrofe. L’ho fatta entrare, è vero. Non mi sono difesa nel modo giusto, è vero.
Io oggi so il perché.
Sono d’accordo con Anna su una cosa: a volte i casini grandi, le sofferenze, la sensazione di perdersi, sono un’occasione, per imparare e crescere. A me è sempre piaciuto, peraltro, imparare e crescere. E ho anche sempre dovuto, peraltro. Perché se mi fossi arresa sarei stata fagocitata dalle ragioni, anche proiettive, degli altri. Ed evidentemente non lo volevo. O evidentemente non potevo.
Non so cosa sia più difficile, lo ammetto.
Voglio dire che non difendere certe parti di me per me sarebbe stato molto più costoso che non difenderle. Senza quelle parti sarei morta. Perché, anche se ho sempre dovuto lottare per difenderle (è andata così, è un dato di realtà) sono stata molto molto più male quando ho sentito che non ci stavo riuscendo rispetto a quando tutti mi urlavano nelle orecchie contro mentre davo valore a ciò che sentivo. E a ciò che sapevo giusto per me.
Ho vissuto sapendo delle cose di me e non sapendone altre. Non potevo sentire una lucida mancanza di cose che non sapevo esistessero.
La vita non si fa con la fantastoria. Non so cosa sarebbe successo se non avessi incontrato le difficoltà che ho incontrato. E’ con quelle che ho dovuto fare i conti. Male e bene. Oggi però delle cose in più che so di me non potrei più fare a meno. Come di qualcosa che ho assimilato e che fa parte di me come un organo interno, come il sangue che scorre nelle vene, come una ruga d’espressione che la vita mi ha regalato, anche perché ho sempre riso molto, non solo per quanto ho pianto.
So che siamo sempre in viaggio, in continua evoluzione. Che niente è fermo. So che ci sto ancora in mezzo. Ma so anche che, davvero, ci sto in mezzo facendo del mio meglio. Perché la spinta mi costa meno della resa. E’ questo è solo culo, forse. Che può finire. Un giorno potrei arrendermi. Ma, per ora, sono felice di non essermi persa nell’immobilità della “fantastoria”.
bacini