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Etichette, che passione !

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Lettera pubblicata il 21 Settembre 2011. L'autore ha condiviso 4 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore .
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La lettera ha ricevuto finora 29 commenti

Pagine: 1 2 3

  1. 11
    rossana -

    concordo con quanto scritto prima da Piero, Marquito, Leonardo e Almost-Imperfect.

    aggiungerei soltanto, anche se un po’ fuori tema, che lo scagliarsi di categorie più o meno correttamente codificate contro altre, definendole in negativo, è una facile modalità per non assumersi le proprie responsabilità addossandole all’altro, al diverso.

    sembra che, essendo impossibile considerare il prossimo con amore e comprensione, non resti che la strada di farne un nemico. l’odio può mantenere vivi quanto l’amore. sempre meglio dell’indifferenza…

  2. 12
    Marquito -

    @ Leonardo:
    E’ evidente che senza la facoltà di astrazione ( e senza l’uso dei concetti astratti) noi non saremmo in grado di comunicare e tanto meno di socializzare. Lo stesso uso del linguaggio (l’ho già sottolineato) diventerebbe pressoché impossibile. Ma una cosa è servirsi dei concetti astratti e una cosa è generalizzare.
    La consapevolezza che i concetti hanno un carattere convenzionale, e che la realtà è composta unicamente di individui, rappresenta un ottimo antidoto contro ogni forma di generalizzazione, di intolleranza e di fanatismo. Perché in effetti il problema è proprio questo … generalizzare può essere molto pericoloso e la storia ce l’ha insegnato in modo quanto mai esplicito. Pensa a quanti danni hanno prodotto i pregiudizi contro un’intera categoria di persone … generalizzando si possono creare delle grandi tragedie. Pensa ai pregiudizi contro le donne, contro gli Ebrei, contro la gente di colore…

  3. 13
    Leonardo88 -

    Però profondi cambiamenti nella modernità li si riscontrano…
    Se prima la nostra identità appoggiava sul concetto di appartenenza, oggi si sviluppa a seguito di relazioni interindividuali in cui ci si identifica nello sguardo dell’altro. La nostra stessa individualità la appercepiamo quindi in modo filtrato, passa sempre attraverso uno sguardo. Sguardo che non può che giudicarci attraverso un certo sapere, che è frutto a sua volta di una conocienza sintetica.
    Questo vuol dire che noi stessi siamo una sintesi di etichette e intenzionalità autonoma.
    Però, in un mondo vasto che ci isola sempre di più perdiamo quel senso di appartenenza che ci ancorava maggiormente agli stereotipi della nostra società. Oggi ci sono più individualità, e non è un caso che come hai notato tu esistano pareri tanto contrastanti.
    Il problema a mio avviso dell’individualizzazione è che ci allontani da quel concetto di unione che è altresì fondamentale per la nostra esistenza.
    E non è un caso quindi che nonostante la crescente individualizzazione ci sia sempre la tendenza ad aggrapparsi a determinate ideologie. E oggi le correnti di pensiero che si possono abbracciare sono innumerevoli. E da questo ne deriva che la gente cambia idea molto più frequentemente, rischiando di ritrovarsi senza una propria e personale visione del mondo.
    Dipende molto anche da quali personalità incrociano la tua vita. Le persone con le quali instauri delle relazioni infatti sono molto più influenti rispetto ad una idea che proviene da una comunità.
    A mio avviso le due tendenze sono correlate, inscindibili.
    Tuttavia gli estremi sono entrambi nocivi: un elevato senso di appartenenza ad una cultura ti limita la capacità di giudizio autonomo, una troppa indipendenza rischian di farti perdere nella grande vastità della modernità.

  4. 14
    Marquito -

    @ Rossana:
    Cara Rossana, le tue considerazioni non sono affatto fuori tema; tutt’altro ! Condivido in pieno questa tua affermazione:
    “lo scagliarsi di categorie più o meno correttamente codificate contro altre, definendole in negativo, è una facile modalità per non assumersi le proprie responsabilità addossandole all’altro, al diverso”.
    Non avresti potuto dire meglio 😉

  5. 15
    Marquito -

    @ Leonardo:
    Per quanto riguarda la questione dei due estremi, credo che ci troviamo nel campo della soggettività più assoluta. Cesare Pavese scriveva che “ognuno ha la filosofia delle proprie attitudini” e dal mio punto di vista aveva perfettamente ragione. Se dovessi esprimere il mio sentire più profondo ti direi che l’indipendenza e l’autonomia di giudizio non sono mai abbastanza e che al giorno d’oggi, per quanto la cosa possa sembrare paradossale, ce n’è ancora più bisogno di prima (l’influsso dei mass media può essere ancora più subdolo e insidioso di quello dello Stato, della famiglia e della Chiesa).
    E’ bene tener presente che il “contesto storico” non è mai un monolite; anzi, generalmente è molto più complesso e articolato di come noi lo immaginiamo. Questo vale per le epoche presenti e per le epoche passate (pensa al Medio Evo, di cui abbiamo un’immagine completamenete distorta perché a raccontarcelo sono stati prevalentemente gli ecclesiastici). E con questo ritorniamo al discorso da cui eravamo partiti … 🙂

  6. 16
    Leonardo88 -

    Anche io prima la pensavo così. Pensavo che ognuno di noi dovesse essere il più possibile autonomo. Poi però andando fino in fondo mi sono reso conto che ognuno di noi è già autonomo. Troppo autonomo. Così autonomo da non avere una propria identità. Questa la ricerca in frivolezze, cercando di fare un collage a seconda della moda del momento, cercando di imporsi ogni tanto nel voyeurismo della modernità, gridando la propria presenza per consenso o per contrasto. Io la vedo così. Siamo gia individui, solo che abbiamo paura di esserlo fino in fondo perchè non sappiamo bene cosa si celi in questo fondo. Costa fatica essere persone in un mondo di personaggi. Non c’è nulla di sbagliato ad avere una identità autonoma. Il problema sta proprio nella costituzione di questa identità.
    Credo che ognuno di noi parallelamente al processo di individualizzazione dovrebbe accostare anche quello di identificazione.
    Qui però arriviamo a toccare il cuore del problema: come ci si identifica in una modernità che non ha una sua concreta identità?
    Una modernità che si articola in ramificazioni frammentate e caotiche? Come dare ordine al profluvio di stimoli che esplodono da questa vastità? Come orientarsi in un mondo che ti spinge a cambiare in continuazione?
    L’unica tradizione che permane è quella di ricercare costantemente la novità.
    Le rivoluzioni (in senso lato, anche quelle individuali) sono positive ma non possono essere continue, altrimenti finisce che non si sa più cosa si rivoluzioni.
    Questo per dire che a mio parere il processo di individualizzazione rischia di metterci di fronte ad un vuoto interiore che è difficile da colmare da soli.
    Per concludere concordo che l’influsso dei mass media sia molto dannoso: vendono soggettività spacciandole per ogettività. Noi siamo squarciati da questa ossessione dell’oggettività delle cose. E la scienza qualche responsabilità in questo ce l’ha…

  7. 17
    rossana -

    Leonardo,
    concordo pienamente su queste due affermazioni, che mi sembrano un’ottima sintesi:
    – “Credo che ognuno di noi parallelamente al processo di individualizzazione dovrebbe accostare anche quello di identificazione.”
    – “Le rivoluzioni (in senso lato, anche quelle individuali) sono positive ma non possono essere continue, altrimenti finisce che non si sa più cosa si rivoluzioni.”

    autonomia non significa obbligatoriamente carenza d’identità. il vuoto interiore soggettivo è sempre esistito e sempre esisterà, indipendentemente dalle epoche. spetta ai singoli individui colmarlo, a poco a poco, con l’attenzione che gli è dovuta, senza lasciarsi tirare per la giacchetta pro o contro le varie etichette.

  8. 18
    Marquito -

    @ Leonardo:

    Sono rimastro un po’ perplesso di fronte a queste due affermazioni:
    1)”ognuno di noi è già autonomo. Troppo autonomo. Così autonomo da non avere una propria identità”.
    2) “il processo di individualizzazione rischia di metterci di fronte ad un vuoto interiore che è difficile da colmare da soli”

    Caro Leonardo, noi non nasciamo vuoti. Le più recenti ricerche scientifiche confermano che l’identità personale è già per buona parte iscritta nel codice genetico. Il codice genetico determina il nostro temperamento; il codice genetico determina la nostra costituzione psicofisica. Personalmente ritengo che si possa andare ancora oltre, perché il temperamento è la base del nostro carattere e il nostro carattere condiziona tutte le nostre scelte, i nostri gusti e le nostre simpatie. Perfino la nostra visione del mondo; perfino le nostre idee politiche o filosofiche hanno le loro radici nel nostro carattere … come ti ho già detto ognuno ha la filosofia delle proprie attitudini.
    Con questo non voglio dire che l’influsso dell’ambiente sia privo di importanza; ma è anche vero che persone diverse, poste di fronte alle stesse identiche circostanze, si comportano in modo completamente differente e che questo fatto è riscontrabile già nella prima infanzia. I bambini possono essere più o meno intelligenti, più o meno sensibili, più o meno fantasiosi e ricchi di inventiva. Negare questa evidenza (come pure è stato fatto) significa essere accecati da un pregiudizio ideologico.
    Secondo me il processo di individuazione consiste nella salvaguardia della nostra identità originaria e nel suo continuo, incessante, arricchimento per mezzo dell’esperienza.

  9. 19
    rossana -

    Marquito,
    solo per evitare malintesi, quando accennavo al vuoto soggettivo, lo consideravo come parti di noi non ancora o non sempre portate alla luce della coscienza a seguito di un’analisi della personalità.

    concordo, quindi, pienamente con te quando affermi: “Secondo me il processo di individuazione consiste nella salvaguardia della nostra identità originaria e nel suo continuo, incessante, arricchimento per mezzo dell’esperienza.”

    anch’io amo molto le sintesi di vita di Pavese, e mi ricorderò di certo di quella che hai citato e che ho molto apprezzato.

  10. 20
    Almost-Imperfect -

    Ciao Marquito,
    in effetti sì, tendo ad essere molto realista; i generi li uso per darmi un senso dell’orientamento, poi scelgo in base ai miei “sentori”.
    E’ vero che non ci sono due rossi uguali, ma è anche vero che se chiedo ad un negoziante, esempio banale, un tubetto di colore rosso, già ci possiamo capire un pò di più. Poi verrà la scelta della tonalità che più mi assomiglia, o mi piace.
    Ecco, diciamo che il genere serve solo per indicare una cosa a grandi linee, lascio libera ogni persona di spiegarmi ciò che è, come meglio crede.
    Il discorso che tu facevi nel post 18, riguardo alle differenze innate, lo approvo appieno. Proprio ieri discutevo con una mia amica che ha appena avuto due gemelli… Non solo non si assomigliano fisicamente, ma hanno due caratteri completamente diversi, eppure le condizioni sotto cui sono nati erano le stesse, per entrambi.
    Forse l’aspetto più negativo riguardo alla generalizzazione è che si usa troppo spesso per giudicare, negativo e positivo, tutti insieme, senza potersi appellare; faticoso vivere e assaporare la vita, con tutte le sue sfaccettature, se qualcuno tenta di importi un punto di vista preconfezionato e desunto, quasi sempre, da proprie esperienze paure o confronti.
    In questo non riesco a riconoscermi; vale la pensa aprirsi a tutto quello che si incontra, senza l’obbligo di farcelo piacere sempre, o anche mai, non mi do un termine oppure una regola e quindi, sono curiosa, di sapere, conoscere, vedere, sentire…

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