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Emergenza coronavirus aereoporto di Catania

Salve!
Vi inoltro la mia testimonianza, sperando possa servire a qualcosa.

L’aeroporto di Catania precisa che nello scalo la situazione è costantemente monitorata e sono state messe in essere tutte le misure preventive.
Bene, adesso vi racconto com’è andata, però.
Parto da un aereoporto semideserto, il terzo aereoporto principale della Germania, quello di Düsseldorf.
Sul treno che mi porta all’aeroporto, ricevo un po’ di messaggi da parte di amici e colleghi: “Ludo, hanno cancellato quasi tutti i voli, dai un’occhiata al tuo”. In effetti poche ore prima tante compagnie avevano deciso di interrompere i collegamenti aerei da e per l’Italia.
Ad un tratto lo sconforto.
Guardo tra le email sperando di non trovare alcun avviso, e così è.
Le persone che attendono l’imbarco per Catania sono poco più di una sessantina, hanno i volti scuri, gli sguardi impauriti, nessuno parla, nessuno ride, guardano tutti il monitor sperando di poter raggiungere l’Italia senza intoppi.
Il silenzio assordante viene interrotto dalla voce di un addetto al check-in che prima in tedesco,poi in inglese e poi in italiano, ci spiega quali saranno le procedure.
L’imbarco procede con un sostanziale ritardo, i passeggeri vengono divisi tra residenti e non.
A questi ultimi non è permesso di salire a bordo, quindi il numero delle persone viene ridotto ulteriormente.
Qualcuno prova a protestare, ma alla fine demorde.
Vengono compilati dei fogli, vengono riassegnati i posti a sedere per cercare di mantenere le dovute distanze di sicurezza, vengono adottate tutte le misure del caso. E fin qui tutto bene.
Durante il volo, il personale di bordo ci informa che appena atterrati a Catania, saremmo stati sottoposti a dei controlli, così come protocollo prevede. I controlli nel nostro caso sarebbero stati più oculati, avremmo dovuto rispondere a delle domande, sottoporci al controllo della temperatura, insomma tutto ciò che era necessario fare per garantire la salute pubblica.
Questo perché il mio volo partiva dalla Vestfalia, che per chi non lo sapesse, è la regione con il più grande focolaio attivo della Germania, una zona rossa, insomma. Nella mia città, scuole e università sono chiuse da settimane, per esempio. Insomma la situazione non è bella, e per questo motivo i controlli sarebbero dovuti essere capillari.
Atterrati a Catania però, non c’è nessuno ad attenderci con tute o mascherine, nessun controllo, nessun presidio sanitario, il nulla.
Ne divento sempre più consapevole superato il ritiro bagagli, la polizia aereoportuale (senza mascherine) e poi l’uscita.
Non volevo crederci. Alla mia sinistra una signora seduta all’ufficio informazioni, le chiedo spiegazioni, la signora alza le spalle in segno di rassegnazione. Chiama qualcuno.
Una dirigente.
Mi chiede come ho fatto ad uscire, le rispondo: “con le mie gambe, nessuno mi ha fermata”.
Da lì inizia il panico, anche perché tutti i passeggeri del volo partito da Düsseldorf erano già fuori, chi al bar, chi ad abbracciare il fidanzato, chi a salire a bordo di un auto.
Nel frattempo la signora dell’ufficio informazioni, quella che alzava le spalle con la rassegnazione nel volto, ve la ricordate? Ebbene, inconsapevole delle conseguenze, mi confessa che era andata così anche per altri voli precedenti, nessun controllo.
La dirigente urla al telefono chiedendo spiegazioni e specificando che si trovava con una ragazza che si era appena autodenunciata. Io.
Mi dice di attendere, che i controlli stanno per arrivare.
E arrivano, 20 minuti dopo.
Sei persone vengono a controllarmi la temperatura, sei persone e un’unica passeggera.
Nel mio caso tutto è regolare, la temperatura nella norma, nessun sintomo in corso.
Mi è stata predisposta una quarantena di 14 giorni, quarantena già preventivata.
Talmente preventivata, che l’unica stronza che ha chiesto una macchina al mio arrivo, in stile Rambo, e le chiavi di una casa lontano dalla mia famiglia, sono io.
Facendo fare permessi speciali a mio padre, che per lasciarmi l’auto parcheggiata agli arrivi, ha avuto bisogno di sei permessi per entrare ed uscire dalla sua provincia.
Io, che mio padre ho potuto salutarlo solo da lontano, alzando il braccio, con una mano che faceva ciao, senza potergli dire nulla.
E vedere tutte quelle persone, dirigersi verso i bar, abbracciare gli amici e i parenti lì ad aspettarli, incuranti delle norme, mi ha fatto male.
Per noi arrivati da una zona rossa, c’è una chiara disposizione: QUARANTENA.
Potremmo parlare a lungo dei mancati controlli o della mancata quarantena, ma la verità è che non abbiamo gli strumenti per affrontare questo macigno che ci è piovuto addosso dal nulla, e mi rendo sempre più conto di quanto siamo impreparati, culturalmente, psicologicamente, sostanzialmente.
Auguri a noi, ne abbiamo bisogno.

Ludovica.U

Lettera pubblicata il 13 Marzo 2020. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Categorie: - Cittadini - Salute

La lettera ha ricevuto finora 5 commenti

  1. 1
    Yog -

    Boh, a Catania non so cosa succeda, come non so cosa succeda in Nigeria o altrove nel mondo.
    Mi interessa? Anche no.
    Qui a Vergate s.M . sono tutti composti e doloranti.

  2. 2
    Trader -

    Ludovica, sono senza parole. E’ vero, hai detto giusto, siamo impreparati culturalmente, psicologicamente, sostanzialmente.

  3. 3
    Pappagone -

    La solita italietta!

  4. 4
    Golem -

    Il vero problema di questo virus è che è troppo democratico. Perchè se crepassero solo i co…oni, come quelli descritti in questa lettera, sarebbe davvero la selezione naturale giusta per questo momento storico.

  5. 5
    Key -

    Io non dico coronavirus ma covid-19 perché sono istruita.

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