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Israele vuole la democrazia araba?

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Il 14 aprile del 2005 il Boston Globe ha pubblicato un editoriale intitolato “Israele vuole la democrazia araba ?” L’autore dell’articolo, Jeff Jacoby, ha iniziato col porre l’interrogativo se la cultura politica palestinese (cui si riferisce come una “dittatura pericolosa, incivile e carica d’odio”) abbia qualche interesse per la democrazia, i diritti umani e la pace con Israele. Si chiede se ci possa essere “una Palestina araba in cui i cittadini comuni possano criticare liberamente i loro governanti”. Chiede anche se ci possa essere libertà di parola e di coscienza e se i palestinesi sarebbero in grado di creare un sistema politico in cui l’esito delle elezioni non sia predeterminato: “Questo genere di genuina e vibrante democrazia è assai lontana da qualunque cosa Bush o Sharon si possano aspettare, e tanto meno è richiesta da Mahmoud Abbas e dall’Autorità Palestinese”. Inoltre, lascia intendere che i tempi sono maturi per Israele per “alimentare la libertà e la tolleranza a casa propria”. Successivamente l’articolo suggerisce che dal momento che gli Stati Uniti “sono governati da un presidente determinato a vedere una democrazia che metta radici nel mondo arabo… per la prima volta, il Medio Oriente arabo ha molte possibilità democratiche”.

Palestina, Hamas stravince – Sarà dominato dal colore verde dell’Islam il nuovo parlamento palestinese. La Commissione elettorale palestinese ha annunciato i risultati definitivi delle legislative svoltesi mercoledì nei Territori: il movimento islamico Hamas si è aggiudicato la maggioranza assoluta in parlamento con 76 seggi contro i 43 di Fatah, il partito del presidente Abu Mazen che ha dominato l’Autorità Palestinese negli ultimi 10 anni. (Corriere della Sera 27.01.2006)

Noi giungiamo ad un punto in cui esiste un conflitto impossibile da risolvere fra « democrazia » e pace. Il preteso « mondo civilizzato » crede ed esclama a voce alta che la democrazia conduce necessariamente alla pace… ma le libere elezioni in Palestina dimostrano che la democrazia può mettere al potere gente favorevole alla guerra. È accaduto tempo fa con Adolf Hitler… ed ora ne prendiamo atto ancora una volta. E più che probabile che rivedremo verificarsi la stessa situazione in Irak ed in molti altri paesi la dove la “democrazia fu esportata”. Questo caso in Palestina ci insegna che la democrazia non funziona mai come vorrebbe l’Occidente…
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Lettera pubblicata il 9 Febbraio 2006. L'autore ha condiviso 34 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore .
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La lettera ha ricevuto finora 3 commenti

  1. 1
    usul -

    tanto per conferma e per riassunto, perché mi piace l’argomento, la Democrazia fallì anche ad Atene provocando la guerra del Peloponneso e comunque resta ciò che è: un semplice meccanismo che consente ai più affabulatori di convincere la maggioranza del popolo, notoriamente con IQ sotto la media, di votare i peggiori con le migliori giustificazioni.
    la Democrazia non è ciò che ai Demagoghi fa piacere di far credere e cioè la panacea politica.
    la qualità di uno Stato dipende dalla concezione che la gente ha del medesimo e proprio per questo, paradossalmente, si può avere più giustizia sociale in altre forme di governo diverse dalla Democrazia.
    paradosso per paradosso (x3,14) citiamo un bel paradosso attuale e .. democratico: noi abbiamo eliminato la Monarchia alla fine della IIGM. oggi ci ritroviamo con un presidente della repubblica che è pagato per non avere funzioni e responsabilità (vedi Costituzione). in altre parole, al quirinale abbiamo una caricatura di un Savoia che sta lì non per diritto ereditario, ma per un processo elettivo falsamente democratico (doppia delega) in un sistema che si definisce democratico e si riempie la bocca di Democrazia solo per una questione di maggioranze elettorali .. e di convenienze banditesche.
    non bisogna stupirsi, perché questo è ciò che accade nel mondo di Alì Babà e dei 40 ladroni.

  2. 2
    Yoel -

    Il golpe di Hamas e la lezione per Prodi di Carlo Panella

    pag.1
    In queste ore a Gaza l’esercito di Hamas sta applicando con ferrea precisione e determinazione un piano militare lungamente studiato e elaborato sin nei minimi particolari. Una strategia militare palesemente guidata da esperti militari iraniani – come affermato dal ministro degli esteri egiziano – che permette loro di espugnare in sole 6 ore con 200 miliziani una strategica caserma di miliziani fedeli ad Abu Mazen difesa da ben 500 uomini. Un episodio da ricordare per la ferocia degli assalitori che, una volta espugnata la caserma, hanno sparato alle gambe dei miliziani nemici fatti prigionieri. Perfetta strategia militare, eccellente preparazione militare e straordinaria ferocia da mattatoio – che ha finalmente svegliato persino le denunce Human Rights Watch – che ben spiegano con i fatti dell’oggi per quali ragioni da 80 anni in qua non sia stato possibile stringere un accordo tra sionisti e palestinesi.
    Ma questa eccellente prova di forza militare, questa vittoria piena di Hamas a Gaza, questa pericolosissima proclamazione del primo Stato islamico terrorista sulle sponde del Mediterraneo, meritano una riflessione anche per quanto riguarda casa nostra, intendendo l’Europa.
    Con tutta evidenza, gli accordi di Ryad che hanno portato alla costituzione del governo di unità nazionale palestinese sono serviti solo ad Hamas per rafforzare la propria presa sul territorio, i propri legami internazionali, il proprio armamento e per sfiancare ulteriormente al Fatah con una serie di una cinquantina di omicidi mirati.
    Spiace dirlo , ma noi l’avevamo detto e scritto. Sin dal primo momento, un’analisi seria di quegli accordi portava ad un risultato e uno solo: è stato il trionfo politico di Hamas e la sconfitta di un Abu Mazen che non ottenne nessuna garanzia programmatica, nessun mandato a trattare con Israele e si accontentò, da piccolo uomo qual è, di alcune poltrone in un governo in cui era schiacciante minoranza, un governo che ha sempre irriso la sua strategia e non ha mai riconosciuto neanche il suo potere di comando.
    Il trionfo militare di Hamas di queste ore è figlio di quel trionfo politico, favorito dalla totale incapacità di Egitto e Arabia Saudita – nonostante le loro vanesie proclamazioni, di influire minimamente nella crisi mediorientale e dalla opposta capacità dell’Iran e della Siria di continuare ad accumulare forze e terreno.
    ————

  3. 3
    Yoel -

    pag. 2
    Ma quell’evidenza non fu tale per l’Europa. La Norvegia, palesemente inebriata da anni da ondate di antisemitismo di sinistra, ha subito ripreso a finanziare Hamas, mentre l’Ue vedeva una indegna gara di suoi dirigenti auspicare di seguire subito le sue orme, considerando –come sempre che il riconoscimento di Israele denegato con forza da Hamas e Haniyeh non fosse assolutamente importante. Romano Prodi è stato il primo tra questi e è arrivato sino a sostenere che – in fondo – questo è un obbiettivo da conseguire, non una precondizione. Anche per il cattolico Prodi, infatti, il fatto che lo Stato degli ebrei possa respirare liberamente ha da essere solo “una prospettiva”, non un diritto naturale, acquisito, immediato.

    Inebriato da tali prospettive, Romano Prodi il 22 aprile scorso ha pronunciato parole che è bene rileggere ora, perché danno in pieno il senso di una miopia politica, di un pressappochismo, di una vocazione all’errore che hanno dell’epico. Ricevendo a Roma Abu Mazen, il premier italiano infatti ha detto: “Con la formazione del governo di unità nazionale palestinese si è finalmente attivata una dinamica politica che sarebbe colpevole non cercare di agevolare”. Gli fece eco D’Alema che il 24 aprile dichiarò che quel “governo veniva considerato anche in seno all’Ue un’importante novità” e che qualche giorno fa è arrivato a sostenere – come rilevato dall’Occidentale – che anche Hamas si era dissociata dal terrorismo libanese di al Fatah al Islam.

    Ora, Prodi e D’Alema guardino al campo di battaglia di Gaza, prendano per le orecchie il sottosegretario Bobo Craxi che si congratulò con Haniyeh e vadano tutti e tre, di persona, a difendere gli uomini di al Fatah maciullati da quelli di Hamas, esattamente come per 80 anni i sionisti sono stati maciullati da palestinesi guidati ora dal Gran Muftì, ora da Arafat, ora da Hamas, capaci solo di uccidere e totalmente votati al rifiuto di ogni logica di trattativa e mediazione.

    Non lo faranno, continueranno a dire a non dire che anche del mattatoio di Gaza la responsabilità è di Israele, senza rendersi conto –da incapaci quali sono – che in tale modo hanno fatto, fanno e faranno un pessimo servizio al popolo palestinese e anche all’imbelle Abu Mazen.

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