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Cosa vuoi fare da grande?

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Quante volte abbiamo sentito farci questa domanda da piccoli! E chissà quali risposte abbiamo dato all’epoca! Ho esordito con questo titolo scherzevole, ma l’argomento della mia lettera sarà molto più serio. E cioè, che cosa si vuole fare veramente, quando si è più adulti e si hanno le idee più chiare. Il principale motivo che mi ha spinto a scrivere una riflessione su questo tema è il fatto che in genere si viene sempre indotti fin da piccoli a puntare in alto. Si viene cioè sempre persuasi (o cercati di persuadere) dai genitori e dagli altri adulti che la cosa migliore sia sempre e comunque quella di completare un lungo ed impegnativo percorso di studi per raggiungere una posizione lavorativa elevata e guadagnare così tanti soldi. E questa idea poi, ci rimane impressa tutta la vita. Più di una volta ad esempio ho letto su questo sito di persone che pur avendo un posto fisso e un buon reddito non si sentono soddisfatte, perché non gli piace il lavoro che fanno o perché questo non lascia loro spazio per altre cose.
Ora, io ritengo sia una cosa più che giusta che ognuno venga indotto a studiare e a impegnarsi, perché questo gli sarà sempre utile nella vita, indipendentemente dal lavoro che farà, anche a semplice livello di cultura. La scuola deve essere vista come un importante possibilità, non come un peso. Anche perché, si sa benissimo, i fannulloni non arrivano da nessuna parte e prima o poi fanno una brutta fine, talvolta anche se vengono da una famiglia ricca. Quello che ritengo invece scorretto è indurre sempre i giovani ad aspirare sempre ad una posizione lavorativa elevata, come in genere accade. Perché non è detto che sia quello che vogliono tutti, anche se spesso non se ne rendono conto. È su questo che voglio far riflettere. Molti cercano di arrivare in alto non tanto perché è davvero quello a cui aspirano, ma solo perché sono sempre stati indotti a credere che sia la cosa migliore per tutti. Ma non è così. La scelta su cosa si vuole diventare nella vita deve sempre essere libera! Altrimenti ci sono buone probabilità che si verifichi quello che ho scritto sopra.
Inoltre, ho visto più e più volte affermare che il criterio principale per definire quanto è buono un lavoro, diciamo al 90%, è quanto si viene pagati. Anche su questo mi trovo in disaccordo. Per carità, il compenso economico è importantissimo, ci vogliono i soldi per vivere, ma secondo me questo parametro non incide per più del 50%. Eh sì. Perché secondo me fare un lavoro che piace ed appassiona e che non genera troppo stress, oltre che a lavorare con persone con cui ci si trova bene, risulta ben più importante che avere risultati economici particolarmente elevati. Secondo me. Per quanto riguarda i soldi, basta guadagnare quelli necessari per avere una vita dignitosa. Se poi si riesce ad avere di più, tanto meglio, ma questo non deve avvenire al prezzo di un eccessivo stress o di tempi di lavoro troppo lunghi o di un lavoro che non piace svolgere. Sempre SECONDO ME. Quindi, è più importante la carriera o il tempo libero? I guadagni elevati o un basso livello di stress? Sentirsi importante o fare un lavoro che piace? Questo spetta a ogni singolo individuo deciderlo, in base alle SUE preferenze! Perché ognuno di noi è diverso dagli altri. Quindi, come in tutte le cose, non fatevi condizionare dai luoghi comuni, dagli incitamenti di altri o dalle correnti di pensiero: anche dal punto di vista lavorativo e del relativo percorso di formazione scolastico, scegliete sempre quello che ritenete sia meglio per VOI. Dopotutto, una posizione lavorativa più elevata non significa certo essere meglio degli altri.
Il mio discorso è quindi rivolto sia ai lavoranti (o futuri lavoranti), come incitamento a scegliere che cosa vogliono fare nella vita indipendentemente dai luoghi comuni e dai condizionamenti a cui sono, spesso inconsciamente, sottoposti; sia a coloro che si trovano ad educare i figli. Questi ultimi farebbero infatti un grave errore se non lasciassero ai loro figli una totale libertà di scelta. Certo, le capacità di un ragazzo sono determinanti per la scelta della sua futura professione, questo è chiaro. Ma se ci si accorge che un ragazzo ha buone capacità, non deve essere per forza indotto a cercare di raggiungere una posizione lavorativa elevata. Questa sua possibilità gli deve magari esser fatta ben presente, ma niente di più. Deve avere libertà di scelta! La cosa naturalmente, si riflette anche nella scelta del percorso di studi. Inutile ad esempio, intraprendere gli studi universitari se ci si sente portati per un lavoro per cui basta un diploma.
A tal proposito, un motivo secondario per cui ho scritto questa riflessione è il fatto che in questo modo si è venuta a creare in Italia (e non solo) una condizione in cui vi sono laureati che non trovano lavoro e figure professionali di livello inferiore irreperibili. A causa di questa “spinta verso l’alto” già descritta, dell’innalzamento dell’età d’obbligo scolastico e della richiesta di titoli di studio assolutamente superflui per certe professioni (alcuni affermano che ormai ci vuole la laurea per tutto; non è così ma sicuramente siamo sulla buona strada) si sta creando un gran danno economico e sociale per il paese. In questo modo infatti, non vi è più nessuno che voglia fare i lavori ritenuti più “umili”, per cui ormai occorre sempre di più ricorrere agli extracomunitari. L’artigianato, così prezioso per la formazione di tanti lavoranti e futuri imprenditori, è andato distrutto. E poi ci sono dei ragazzi che vanno a scuola solo perché ci sono obbligati, ma senza combinare niente e senza imparare quei valori che il lavoro potrebbe loro infondere. Vero poi che col progresso tecnologico sono ora necessarie molte meno persone per svolgere certe mansioni, ma le macchine non potranno mai sostituire del tutto l’uomo.
Naturalmente, sul tema lavoro ci sono molte altre problematiche collegate: che oggi a causa della crisi non sempre si può fare ciò che si vuole e bisogna adattarsi, che se si ha una famiglia da mantenere ci si trova costretti a cercare di guadagnare di più, che se nessuno pensasse a dare il meglio di sé e ad arrivare in alto ci ritroveremmo in una nazione sottosviluppata rispetto alla concorrenza eccetera eccetera. Temi più che validi su cui si potrebbero scrivere interi libri, ma non sono questi l’argomento della lettera. Essa infatti, vuole essere una riflessione su un tema a me molto caro, cioè quello di ragionare sempre con la propria testa senza farsi influenzare, stavolta trattato dal punto di vista lavorativo e della formazione.

Lettera pubblicata il 11 Ottobre 2019. L'autore ha condiviso 6 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore .
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Categorie: - Lavoro - Riflessioni

La lettera ha ricevuto finora 11 commenti

Pagine: 1 2

  1. 1
    Rossella -

    Come mestiere avrei voluto fare l’immobiliarista. Anche se è difficile vendere le case. Per cui non l’ho mai vista come l’attività principale… diciamo che quello sarebbe stato il mio mestiere ideale. Mi sono sempre fermata a guardare le vetrine… quando non sono sovrappensiero mi viene spontaneo prendere i volantini per guardare le case.

  2. 2
    Yog -

    Io invece avrei tanto voluto fare l’oste, se non altro per contare tutti quelli che mi avrebbero chiesto se il vino fosse buono.

  3. 3
    white knight -

    Caro Bottex, ottima riflessione. La work-life balance è importantissima. BUT, sappiamo benissimo entrambi che la “passionalità” delle scelte di vita (in ambito formazione&lavoro) deve misurarsi in qualche maniera con la loro “futuribilità”. I think che nella vita accademica e lavorativa sia necessario sacrificare qualche punto percentuale di felicità in nome di una maggior stabilità e, viceversa, rinunciare ad un po’ di stabilità in nome di una maggior felicità (principio contabile nr. 1 comma bis della partita doppia esistenziale).

  4. 4
    Angwhy -

    L’accelerazione che ha preso il mondo negli ultimi 2 decenni manda tutti questi discorsi in soffitta,e oggi le competenze acquisite in anni di studi possono essere vanificate da un software da poche decine di euro.Io credo che la scuola intesa come formazione lavorativa abbia fatto il suo tempo,le resta il ruolo educativo ma i risultati sono quanto meno disdicevoli,almeno in italia.la vedo dura,per tutti

  5. 5
    Enza -

    L’istruzione è l’unica forma di investimento sicura. Bisogna anche avere le idee chiare su cosa fare nella vita e guardarla con i propri occhi. In questo sono fondamentali i genitori e gli insegnanti. Penso che siamo d’accordo che esistono persone ricche nel portafogli ma povere in tutti gli altri aspetti della vita. Realizzarsi attraverso il lavoro dovrebbe essere l’obiettivo di ognuno e bisognerebbe anche essere messi in condizione di farlo. Si dovrebbe partire da una riforma del sistema scolastico che formi ugualmente bene chi vuole frequentare l’ università e chi vuole fare ad esempio l’artigiano.

  6. 6
    Gabriele -

    Io credo che non esista un modo di fare e una cultura migliore di quella italiana.
    Tutte le cose che sono state dette nei commenti precedenti sono vere. Ma chi meglio di un italiano può comprendere quegli individui, tipo americani, indiani, cinesi, e da un pò di tempo coreani? Noi siamo la creatività e l’intelligenza e sono caratteristiche proprie a tutti gli italiani, e che nessuno potrà mai portarci via. Io credo che essere italiano mi abbia dato molto più vantaggio, rispetto ad altri ragazzi di altre nazionalità. Tanto per cominciare, siamo creativi, e di conseguenza, abbiamo più fantasia, e siamo quindi vincenti in molti ambiti. Siamo empatici, nei confronti degli altri popoli, non necessariamente svantaggiati rispetto a noi. Soffriamo di mancanze croniche di efficienza: non facciamo mai una cosa uguale all’altra, non siamo in grado di copiare o riprodurre le stesse cose in continuazione. Come non siamo in grado di usare l’economia virtuale come volano per migliorare le condizioni di vita del paese in cui viviamo, a spese di altri, come fanno altri.
    Noi siamo creativi, e i creativi soffrono sempre quando vengono limitati nella loro capacità di espressione.

  7. 7
    Suzanne -

    Bottex, per essere soddisfatti nella vita, e quindi anche nel lavoro, bisognerebbe innanzi tutto liberarsi da tanti stereotipi che ci ingabbiano in categorie molto spesso avvilenti e falsamente dorate.
    Sai con quante persone mi sono dovuta giustificare di fronte a scelte lavorative per cui I miei titoli di studio erano sprecati? Mi facevano sentire sprecata, come se mi accontentassi, quando ero solo io a scegliere, in base alle mie esigenze del momento. Molti miei amici sono imbruttiti da mansioni magari socialmente riconosciute, ma fortemente frustranti e alienanti.
    La parte più difficile è capire quali siano le nostre priorità, ciò che può realmente farci stare bene, e poi trovare un compromesso con ciò che è realmente attuabile. Capacità che sicuramente non si ha a quattordici anni, ma tante volte nemmeno alla fine delle superiori.

  8. 8
    Bottex -

    Rossella: forse avresti dovuto seguire il tuo sogno, anche se difficile da realizzare. Se sei ancora giovane, ci credi ed è quello che vuoi, buttati.
    Yog: meglio ancora forse il sommelier. Lo bevono anche loro il vino e mangiano anche gratis in tanti ottimi ristoranti.
    W.N.: Certo, nella vita l’ago della bilancia tra stabilità e felicità può anche spostarsi, non è detto che debba sempre essere fisso. Col tempo si può cambiare, così come le proprie priorità.
    Angwhy: ci vuole qualcuno che li progetta i software e comunque non sono mai perfetti. Serve anche la capacità dell’uomo. Per il ruolo educativo della scuola poi, visti i risultati, no comment.
    Enza: vero, ci vorrebbe. La formazione attuale non prepara al mondo del lavoro.
    Gabriele: probabilmente è vero, siamo creativi (vedi il made in italy come è apprezzato nel mondo) ma la mia impressione è che da questo punto di vista il popolo italiano si sia un po’ addormentato negli ultimi anni.
    Suzanne: hai capito perfettamente quello che volevo dire. Vedo che la pensi allo stesso modo e che l’hai anche messo in pratica. Brava.

  9. 9
    Tommy -

    Io volevo tanto fare il poliziotto, solo che non mi è mai piaciuto stare sotto ai superiori che ti dicono cosa devi o non devi fare, urlandoti addosso addirittura, e tu chiaramente devi volare basso e dire: “si signore.” Ammetto però che sarei un’altra persona adesso, sicuramente.

  10. 10
    Ana -

    Io avrei voluto fare la cantante lirica. Ho anche superato degli esami del Trinity College of Music. I miei purtroppo con l’Asperger soffro di attacchi di ansia e panico ingestibili che passano solo con sonniferi pesanti non posso cantare in pubblico. Se qualche volta l’ho fatto sono piovuti insulti, risate e mi tiravano tutto quello che avevano a disposizione. Lo abbiamo finito l’asilo? Vorrei vedere se sanno fare l’aria della Regina della Notte dal Flauto Magico di Mozart o la canzone alla luna dalla Rusalka di Dvorak. Al coro in chiesa invece non mi hanno discriminata perche’ e’ la casa di Dio. Purtroppo quando sei Asperger in Italia ti puoi solo impiccare.

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