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Un ritorno all’italiana

Sono una ragazza di 29 anni, costretta a spostami in treno per andare a lavorare, pardon, a prestare frequenza volontaria perché i tagli alla Sanità non consentono di stanziare fondi per retribuire nessuno, in un Ospedale prestigioso che dista circa 200km da casa mia. Non avendo di che pagare un affitto, sono inoltre costretta a fare la pendolare, che tradotto significa morire d’infarto da ipertensione e stress acuto prima del tempo. Mi perdoni il tono sarcastico con cui scrivo queste righe, ma è l’unica arma che mi resta (visto che aspettare che le cose cambino non mi sembra particolarmente fruttuoso) per non cedere all’arrendevolezza che caratterizza la maggior parte dei miei compagni di viaggio.  Di preciso non so nemmeno io per quale motivo specifico Le sto scrivendo, elencare la mia indignazione di cittadina punto per punto sarebbe troppo dispendioso per me da scrivere e faticoso per Lei da leggere, nonché probabilmente irrilevante per la più parte dei lettori. Tuttavia, ho deciso di buttare giù qualcosa per non sentirmi affogare in questo marasma di frustrazione e delusione che mi accompagna quotidianamente, e non mi riferisco a quello interiore per cui sto già seguendo una splendida psicoterapia (che, ovviamente, non riesco a pagarmi da sola).
 

Sono una Psicologa, per l’esattezza una Psicologa dell’Età Evolutiva con una specializzazione in Neuropsicologia Infantile e mi occupo di Autismo Infantile. Mi sono dovuta laureare ben 3 volte per poter lavorare gratuitamente in questo “bel” paese di treni che viaggiano in ritardo e fondi che vengono stanziati per i “corsi di formazione per le veline”. Nata in Toscana, cresciuta in Germania, con una Laurea ed un Master conseguiti presso Università britanniche, sono tornata in Italia alla ricerca di una casa, di un nido e delle mie radici, ritrovandomi a dover seguire nuovamente tutto l’iter di studi presso una Università italiana in quanto i titoli non erano equipollenti. Peccato però, che tutto nasce da equivoco (per non dire “errore” abissale)  da parte di un funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione e di cui non chiesi il nome (mea culpa, sua grazia!) che mi garantì l’equipollenza del titolo successivamente al conseguimento del Master (mi disse che l fine dell’equipollenza mi conveniva fare un anno di Master per non dovermi immatricolare da capo in Italia…si sbagliava).
 

Ed ora, con 3 titoli universitari in tasca, l’abilitazione, 4 lingue a mia disposizione e ancora disoccupata, mi chiedo se non ho sbagliato a “tornare” in Italia. Pensi che l’anno scorso tentai il Dottorato in alcune università ma anche lì scoprii che essere preparata non era una valida carta d’ingresso. E quindi eccomi qui, in un treno alle 9 di sera, dopo essere partita dall’ospedale alle 5 perché i treni ritardano (chi dice che i servizi sono migliorati è probabilmente qualcuno che viaggia con lo chauffeur) e non si aspettano tra loro. Perché noi siamo tutti delle cavie per un grande esperimento di sopravvivenza sociale e di resistenza psicologica, o no? O è perché non conosco nessuno di importante che mi può garantire un posto? O è perché, come mi disse il presidente di commissione di dottorato “vede signorina, lei è troppo specializzata e la nostra facoltà non può dare riscontro alle sue conoscenze”? O è perché quando uno crede in qualcosa in questo mondo non serve più a niente tranne che a farsi venire il fegato marcio e le dita incallite a forza di battere disperatamente sui tasti di un portatile come unico amaro tentativo di farsi ascoltare?
 

Ecco qui la mia breve storia, sicuramente simile a molte altre ma non per questo meno importante. Non solo perché appartiene a chi scrive, ma perché si unisce a quelle di tutte le altre persone come me o ancora più arrabbiate di me, che non hanno più la forza di indignarsi e di urlare perché la musica cambi, perché la gente possa alzarsi la mattina e non sentirsi presa in giro da quelli che “vogliono cambiare il nostro futuro”. E lo cambino allora, in meglio. O forse, mi dica, mi conviene abdicare alla mia passione per quello che faccio,alla mia educazione, al mio cervello, al mio cuore ed andare a tentare la fortuna in TV?!  Sinceramente, sa, non sono poi nemmeno così brutta…

Lettera pubblicata il 25 Settembre 2006. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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La lettera ha ricevuto finora 2 commenti

  1. 1
    Cesare -

    Mi dispiace per la tua situazione…..troppo specializzata per lavorare in Italia …ecco la verità !!!!!una verità assurda , ma verità !!!

  2. 2
    leo -

    ciao sara, non sono il Direttore (“…Mi perdoni il tono sarcastico …”), ma mi dispiace lo stesso che ti trovi in questa situazione e mi spiace per quant’altri come te ci si trovano.
    come funziona questo paese lo sappiamo tutti: prima i soldi e le parentele, poi le capacità e l’intelligenza.
    le assunzioni nella ricerca si fanno per concorso, dicono.
    la verità è che il concorso si fa ma si sa pure chi sarà assunto!
    ti chedi se non hai sbagliato a tornare in Italia.
    chi lo sa?! forse sì e forse no!
    forse dovevi tornare per poi riandartene dove il sistema è meno clientelare e nepotistico.
    quello che conta perciò non è quanto grigio sia ‘sto paese per un giovane qualificato, ma cosa vuoi fare tu adesso, se insistere qui o cercare altrove, magari in Canada o in Australia, credo io.
    dopotutto, le radici uno le mette dove il terreno è buono!
    solo in parte siamo alberi e alcuni possono esserlo meno di altri!

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