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Odio il lunedì

Questi sono i pensieri di una ragazza di 30 anni. L’anno è il 2011: la vita è solo apparentemente semplificata dalle macchine, dalla tecnologia, dall’accesso all’informazione sempre ed ovunque. Senza problemi sentimentali di sorta (il che rende tutto meno interessante), la ragazza aveva un unico, assillante pensiero fisso: “Non riesco a cambiare la mia vita….non ce la faccio più..”. Solo i sabati e parte della domenica erano giorni tranquilli, in cui poteva riflettere su ciò che le stava capitando.

Caratterialmente molto pacata, ma con tanta rabbia repressa in corpo, era sempre stata una bambina felice e spesso rimpiangeva il passato nel riportare alla mente le immagini spensierate di bambina protetta dai genitori.

Come tanti ragazzi italiani aveva lasciato da poco il nido: solo da un anno; in quell’anno gli eventi non erano stati molto clementi con lei.

Ecco perchè in quella mattinata estiva, che per tanti l’occasione della classica gita fuori porta, si ritrovava sola e senza forze, sul divano, nella speranza che dalla tv potesse arrivarle un suggerimento, una scappatoia ai problemi, pur rendendosi conto che quell’atteggiamento passivo non l’avrebbe aiutata.

Il cervello era intento a cercare di svicolare da un’intricata serie di poco simpatici eventi che riguardavano la sua posizione lavorativa, ormai certamente sputtanata e in fase di declino.

Pensava alla varietà della gente: nel mondo esistevano sicuramente personaggi che, al suo posto, avrebbero salutato i cari colleghi nonchè le personcine a monte che le stavano rovinando la psiche. Purtroppo scappare da quella situazione non era per nulla semplice: da un anno conviveva e il suo stipendio era indispensabile per la rata mensile del mutuo che immancabilmente risucchiava 750 euro dei 1000 che con sofferenza racimolava nel mese.

1000 Euro era lo stipendio medio di un ragazzo laureato non precario (straordinarie non retribuite e anche 10 ore di lavoro al giorno)…lo stesso o forse di più lo stipendio del garzone del fornaio o del cameriere al ristorante. Queste erano ormai specie in via d’estinzione a causa di una società impazzita che riteneva certi mestieri non degni o comunque molto più duri e non in grado di dare particolari soddisfazioni. Mai si sarebbe immaginata di sognare con quell’intensità un lavoro da commessa in un negozio. Nulla gliel’avrebbe impedito, se non il pensiero della fatica per ottenere quel maledetto pezzo di carta; sperava di trovare prima o poi una soluzione lavorativa che le permettesse di credere ancora che lo studio e tutto l’impegno siano prima o poi riconosciuti e ripagati.

Il problema maggiore non era il misero stipendio che quel posto le dava, anzi, da un po’ di tempo era il minore dei problemi: più rilevanza aveva infatti assunto il clima che si respirava nello studio di commercialisti in cui lavorava. La ragazza era un’apprendista impiegata e, a 30 anni la parola apprendista faceva venire voglia di mandare affanculo tutto il sistema italiano con i suoi contratti di lavoro che ti garantivano un’insicurezza lavorativa assicurata.

Le straordinarie erano date per scontate; una sera, uscita alle ore 23.00 dall’ufficio sentì una voce dentro di lei che le suggeriva di scappare, che così non poteva continuare.

L’umore andava su e giu, tutto ruotava intorno all’ossessione per il lavoro e al fatto di volerlo cambiare. Per un attimo, soffermandosi sul telefilm “Sex and the city” si chiese come facesse il sesso ad essere parte fondamentale dei pensieri del genere umano; i suoi di pensieri erano ben più tristi.

Ma fondamentalmente, cosa le era successo?

Questa è una storia di mobbing o perlomeno, presunto tale. E’ la storia di un’apprendista (mai affiancata sul lavoro da nessuno), la storia di un posto di lavoro come tanti, ma nello stesso tempo indecente.

A seguito di una riorganizzazione aziendale, una collega dalla ventennale esperienza divenne la responsabile contabile. Dopo due anni senza controllo, il lavoro della ragazza fu sottoposto alla sua supervisione. Quando iniziò ad analizzare il suo operato si scatenò il putiferio: vennero a galla errori contabili, pasticci ed imperfezioni. Ogni giorno che passava a controllare quel bilancio era un giorno mortificante, imbarazzante.

Come se non bastasse, venne anche ripresa di fronte agli altri colleghi: le dissero che aveva lavorato male e lei non replicò, per non scoppiare a piangere.

L’ansia di ciò che le stava accadendo si manifestò anche con evidenti problemi di tipo fisico: inappetenza, mal di pancia e nausea prima di andare in ufficio, mal di testa da tensione.

Arrivò anche a pensare che gli studi di economia aziendale e libera professione, fossero un errore di percorso e che non fosse portata per il genere e la materia. In effetti la sua natura era più creativa che matematica, ma quanta gente nel mondo non esprime nel lavoro la sua vera dote? Tantissima, in quanto il mondo del lavoro si basa sulle regole di mercato e la probabilità di lavorare diventa maggiore se si punta alle professioni con più offerta: incarichi di impiegato contabile sono sicuramente maggiori rispetto a quelli di reporter o di addetto al restauro ligneo.

I padroni non la ripresero per nulla ma la conseguenza fu un demansionamento, coordinato dalla capoufficio: le tolsero la contabilità “incriminata”, (sicuramente complessa per una “alle prime armi”), e la passarono ad una collega dalla decennale esperienza. L’altra tecnica per portarla all’esaurimento fu quella di non darle più alcun incarico, non farla sentire importante.

Lo stimolo a lavorare, in quelle condizioni era andato a farsi benedire e prima o poi avrebbero ottenuto il risultato che si aspettavano: si sarebbe licenziata, una volta trovato un lavoro decente e forse la salvezza.

Aveva l’impressione che anche i colleghi, con i quali prima aveva un rapporto molto amichevole, la guardassero ora con sospetto, quasi attendessero il suo prossimo passo falso, nonostante l’avessero sostenuta ed incoraggiata quel venerdì sera in cui, uscendo dall’ufficio era bastato un incitamento di una di loro a “sbattersene della situazione” per far sfogare tutte le sue frustrazioni e il suo stress in un pianto liberatorio.

Ma la ragazza non accettava più ciò che era diventata: un colletto bianco senza scelta, bisfrattata e punita per non essere sufficientemente perfetta, che vive nella paura di ulteriori errori, disonesta con se’ stessa per il fatto di negarsi una vita serena, quasi a volersi punire del fatto di essersi cacciata in un casino più grosso di lei. Ma c’era ancora una speranza? Una possibilità di riscatto? Era giunta l’ ora di rialzarsi…forse la buona volontà e un pizzico di fortuna l’avrebbero portata a realizzare il suo desiderio impellente di CAMBIARE VITA.

Lettera pubblicata il 3 Luglio 2011. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Categorie: - Me stesso

La lettera ha ricevuto finora 3 commenti

  1. 1
    rossana -

    ciao Change79,
    comprendo il tuo stato d’animo. il lavoro è un banco di prova che può riservare molta amarezza. tuttavia, è anche un elemento importantissimo nella vita di una persona normale, quindi è determinante che sia non solo apportatore di reddito ma anche di un minimo di soddisfazione personale.

    è evidente che l’ambiente in cui ti sei inserita non è dei più facili. certe colleghe o colleghi “esperti”, che sanno solo rimproverare e non sono inclini, invece, ad insegnare, sono magari utili all’azienda ma deleteri sotto il punto di vista umano.

    non te la prendere più di tanto. può darsi che tu sia inadatta al lavoro ma è certo che la direzione aziendale è inadatta a te. con tutta calma, e senza scoraggiarti, cerca un’altra occupazione.

    anch’io mi sono trovata male al primo impiego. in seguito, invece, tutto è andato bene per molti e molti anni. lascia perdere il riconoscimento sul lavoro del pezzo di carta: cerca di fare quello che ti piace e ti fa star bene in un ambiente amichevole.

    in bocca al lupo!

  2. 2
    change79 -

    Ciao Rossana, si vede che hai compreso la mia situazione e per questo ti ringrazio tantissimo. Seguirò i tuoi consigli.

  3. 3
    rossana -

    Change79,
    sono contenta di esserti stata minimamente utile, anche soltanto a parole. ti auguro di trovare presto un nuovo lavoro che ti possa rendere serena ma non avere fretta: cerca con calma, stando dove sei finchè non sei sicura del cambio.

    pensando a un futuro migliore, già dovrebbe esserti più facile non prendertela troppo per la situazione in cui ti trovi.

    nei colloqui pre-assunzione, poi, non lamentarti di cosa è successo, accenna soltanto al tuo desiderio di un lavoro diverso, più adatto alle tue attitudini.

    un abbraccio.

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