La fine improvvisa di un amore
di
Loredana
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ieri sera lo ho incontrato per caso dopo due settimane (è un mese e mezzo che è andato via) e ci siamo ritrovati in mezzo ai vecchi amici, io da una parte, lui dall’altra. neanche un ciao o una parola, io non ce la faccio a guardarlo perchè non voglio che legga la mia disperazione negli occhi e lui mi sta lontano….gli amici tutti mano nella mano, la moglie del suo migliore amico incinta e altri due che vanno a convivere…lo so che devo andare avanti e, in apparenza, lo sto facendo. Però mi ha fatto tanto male e oggi non faccio che piangere…
LORENZO: ciao 🙂
no, non siamo tutte donne. E comunque sia non è che per forza chi lascia debba essere “il carnefice” e chi viene lasciato “la vittima”. Non sempre ci sono vittime e carnefici, esistono anche persone che si incontrano, si amano e poi prendono atto (uno solo, o entrambi) che l’amore è finito o una relazione, per una serie di ragioni, si è esaurita o comunque non può continuare. E ne prendono atto con civilità. E’ certo che chi ama ancora e viene lasciato soffre sempre, ma non è neppure vero che chi lascia non soffre mai.
Non è che per forza una storia finita abbia per protagonista una brutta persona. Intendo dire che se tutto fosse filato liscio, al di là dei sentimenti, anche a volte con la presenza dei sentimenti, ci sarebbe ancora, la storia, ma a volte subito, a volte quando sono passate rabbia, frustrazione, delusione ci si può anche riappropriare di tutto il buono di una storia… certo è che quando inizia una relazione si sa da dove si inizia (o si crede di iniziare) ma non si sa mai dove si va a finire, anche in senso positivo, intendo. Anche perché le relazione umane, tutte, sono dinamiche. A parte tutto questo, anche banale, mio blablablà, tornando alla specifica storia che racconti, la tua, ti ringrazio per aver portato la tua testimonianza, il tuo punto di vista sulla tua storia, come tu hai sentito di viverla e perché, ascoltandoti, hai deciso di dire NO, BASTA prima che la storia dicesse NO e BASTA… a te.
Guarderò certamente la cosa che segnali, grazie.
Da uomo (sarà un luogo comune quello per cui gli uomini hanno una maggiore capacità di sintesi? :P) sei riuscito a descrivere in poche righe dei meccanismi di manipolazione (o tentata tale) e “giramento di frittata” notevoli, e anche reiterati in storie che hanno una certa dinamica. Che la tua donna ne sia stata consapevole o no, da quel che racconti, la tua ex diciamo ci ha… provato a far andare la relazione a modo suo, e tu hai detto no, perché quel modo ledeva te.
A sua volta si sarà sentita lesa quando non ci stavi a stare nel suo schema? E’ probabile. e quindi cercava di riportarti al suo schema.
Il problema di certe dinamiche, oltre alla manipolazione, mi pare sia quello della scarsa – o inesistente – flessibilità. Non so se mi spiego, ma è come se davvero ci fosse uno schema fisso (ora magari esco totalmente dalla tua esperienza, eh, riflessione generale), per cui la relazione di fatto smette di essere dinamica, anche se va avanti.
E’ chiaro che tutti noi siamo fatti in un certo modo, che per ciascuno rappresenta la propria personalità, la nostra visione della vita, che siamo più o meno disposti a confrontarci alla pari con la persona che abbiamo davanti, ad ascoltare, metterci in discussione anche per trovare una via comune, a riflettere sulle cose che ci accadono, che accadono all’interno della relazione…
intendo dire che esistono anche incompatibilità e tratti caratteriali per cui si può faticare anche a essere/fare ciò che ci proponiamo di essere/fare anche con tutta la più buona volontà, se siamo fatti diversamente dal modello che ci viene richiesto… insomma, le persone possono cambiare e cambiano secondo me, in alcune cose, nel corso della vita, attraverso l’esperienza, possono imparare dagli errori, sciogliere nodi interni… ma quando parlo di fissità di schema mi viene in mente, pensando alla mia esperienza, e a ciò che leggo qui, perché spesso i racconti sono di storie in cui, anche se ovviamente per fare una relazione, anche insana, bisogna essere in due (ma nella manipolazione il discorso “duale” è giusto un po’ più complesso!!!)chi scrive sembra raccontare di essere stato chi cercava una dinamicità – mentre il tempo passava – in una relazione che uno dei due sembrava tenere ferma, sterile, anche reiterando per esempio il prendi/lascia/riprendi/rilascia, o in cui fiumi di parole sembravano non sembravano mai servire a niente, tipo sì sì, ma poi da cassone a baule. Qualcosa tipo: tanto casino, tanta elettricità, tanto rumore, ma quasi una corsa solo sul posto, non un movimento verso il futuro. Io sono rimasta sbalordita dalla fissità degli schemi, da dinamiche di persone che sembrano non vedere (o usare a proprio vantaggio il negare o manipolare) cose elementari come il rapporto tra causa e conseguenza. E che, come dicevi tu, hanno sempre ragione. Riuscendo a incarnare sempre con la stessa prepotenza di controllo sull’altro ora il ruolo di “molestatore attivo” ora quello di “vittima”, attraverso il ricatto morale, con lo stesso schema egocentrato di pretesa e la stessa mancanza di empatia. Tipo: anche quando ti voglio, e ti blandisco per averti, ti voglio per me, peer sedare la mia ansia. Ma dimentico anche in quel momento che tu esisti e provi dei sentimenti, delle emozioni. L’ho già detto: tutti noi passiamo attraverso vari registri, tutti noi abbiamo dentro anche dei germogli da paraculi, ma c’è chi dentro sè ha un paraculismo come strategia di sopravvivenza.
Grazie, Luna, del tuo commento. Hai fatto bene a sottolineare le differenze tra i nostri due casi. Dall’altra parte, nel mio, c’era una persona secondo cui amare voleva dire possedere e dominare, nel tuo, da quanto ho capito, un ragazzo normale, buono, equilibrato, che a un certo punto ha preso un’altra strada. Eppure alla fine il risultato è lo stesso: soffriamo, io e te, e abbiamo molto rimpianto, ci chiediamo cosa abbiamo sbagliato, quale maledetto difetto, quale schifoso decreto del destino ci abbiano impedito di essere felici. Ora, io credo che di fronte a queste emozioni non si debba perdere la serenità di giudizio; e un giudizio equilibrato ci dovrebbe dire alcune cose: anzitutto che “quella” persona, visto l’esito finale, non era adatta a noi; ciononostante qualche parentesi di felicità l’abbiamo pur vissuta… e abbiamo avuto più fortuna di tanti che un amore non lo trovano proprio mai, e restano infelici tutta la vita. Abbiamo mancato il bersaglio… ma non di molto. Abbiamo più esperienza, ora. Sapremo valutare meglio, la prossima volta. Andrà meglio, col tempo: l’importante è ripartire.
Grazie per il complimento, ma ho imparato a essere sintetico sulla mia pelle!
Qualche altra gemma: la mia adorata una volta mi aveva detto “da uno a dieci tu per me vali due!”, frase che mi ha ferito e tormentato per mesi, finché non gliene ho parlato, e lei ha risposto: “Cosa? Non ti ho mai detto niente del genere, non potrei perché non lo penso!” Un’altra volta le ho fatto notare che la sua freddezza mi mortificava, e lei: “Tu spesso sei stato ancora più freddo con tua madre” (una povera vecchia paralizzata che io ho assistito per anni, con pazienza e amore, sacrificando anche il lavoro, e che nel momento di cui parlo era già morta.) Ancora, la fanciulla a gennaio era stata in ospedale per una operazione, e aveva sempre trovato scuse per impedirmi di visitarla. “Perché?” le ho chiesto quando l’hanno dimessa. “Ti sei fatta trovare da cani e porci, ma non da me.” “Perché se ti avessi permesso di vedermi, tu poi te ne saresti fatto un merito, e lo avresti usato come mezzo di ricatto, o per vantartene!”
Ti rendi conto?
E potrei continuare per ore. Queste sono solo le prime cose che mi vengono in mente.
Alla fine aveva tirato fuori perfino che ce l’avevo piccolo, nonostante un anno prima dicesse l’opposto, e soprattutto nonostante dalla prima all’ultima volta in cui siamo stati a letto, avesse sempre goduto come una vacca.
Puah.
Meglio che mi fermi qui. Ciao!…
Scusa se ti secco ancora con quella donna, ma questo episodio lo devo proprio scrivere, perché se ne può trarre non solo una caratterizzazione ma anche una morale.
Un mattino, dopo aver passato qualche ora da lei, siamo usciti, e mi ha accompagnato alla fermata del tram che devo prendere per tornare a casa. Lì di fronte c’è una chiesa, che lei, devota come quasi tutti i latinos, frequenta spesso. Ecco che decide di entrare un attimo per una devozione, e mi chiede di accompagnarla. Sotto il porticato, in un angolo, a un paio di metri dall’entrata, vediamo un uomo. Un negro rincantucciato in terra (era inverno e faceva molto freddo) Aveva poveri vestiti leggeri, era impolverato, trasandato, un clandestino, un disoccupato o un barbone. Era intento a rosicchiare un pezzetto di pollo arrosto, una cosa da un paio di euro. A me fa pena, gli vorrei dire entra almeno, dentro la chiesa non fa così freddo.
Lei invece che fa?
Lo squadra dura, si avvicina e lo investe: “Cosa fai qui? Non lo sai che qui non si può stare? Questo è un luogo sacro. Vattene via subito o chiamo qualcuno!”
Il poveretto ha biascicato delle scuse in cattivo italiano e ha sceso la scalinata barcollando. Ci sono rimasto troppo male. Non ho potuto seguirlo con lo sguardo perché lei è entrata, e ho dovuto andarle dietro come un cagnolino.
Mi sono seduto su una panchina, mentre lei si incamminava verso l’altare per le sue giaculatorie.
Ho pensato a tante cose. A cosa poteva farsene Dio delle sue preghiere, per esempio. Delle preghiere di chi pretende tutto, per sé, ma che se gli altri non hanno nulla, li sa solo calpestare. Le preghiere di chi si riempe la bocca di concetti teologici ma nel cuore non ha un briciolo di carità. La devozione di gente che dopo secoli è rimasta uguale ai conquistadores, che massacravano gli indios innocenti con la Bibbia nella sinistra e la spada nella destra, o ai devotissimi Inquisitori che facevano torturare e bruciare la gente.
Una persona la devi giudicare non da quello che le esce dalla bocca ma da quello che fa. Vale per tutti, anche per le persone buone. Dobbiamo imparare a capire se ne vale la pena non dalla bellezza ma dalla loro storia passata, le decisioni, i gesti. L’apparenza inganna.
Venendo a noi: se tu invece che col cuore, avessi giudicato con la fredda logica, saresti rimasta con lui, o lo avresti lasciato tu per prima? Avresti capito che era stato un errore, fin dal principio?
Io l’avevo capito. E ho sbagliato a non trarne le conseguenze.
Ciao ANGI stai tranquilla la tua è una reazione normale e umana! dici
bene andare in avanti in apparenza, anche per me è lo stesso. esco con
gli amici, mi riempo di buoni propositi cerco di non parlare più di
lui ma dentro sento sempre un grande vuoto. adesso sto cercando di
pensare a ciò che non andava tra noi, alle sue mancanze per rendermi
conto che la storia non poteva funzionare in questo modo. che lui
invece di far crescere il nostro rapporto ha preferito chiuderlo e
concentrarsi solo su se stesso. che non mi ama punto e basta. provaci
anche tu, un po’aiuta…. non si smette di soffrire tutto di un botto
certo, ma con l’andare dei giorni si capiscono sempre più cose, la
nebbia si dirada.
un bacio a tutte!
Sun…..come ti capisco….anche io spesso da sola nel week end….amiche tutte fidanzate/sposate e il mio compagno (anzi, ex) che si è preso una “pausa di riflessione” dopo 5 anni di convivenza….ho lasciato la nostra casa x tornare dai miei…dovevamo sposarci l’anno prossimo. Sono distrutta. Vorrei lasciarlo solo x riflettere, ma sto troppo male. Il mio compagno sta attraversando un momento di depressione e non vuole essere aiutato….ha deciso di isolarsi da tutti, vuole stare da solo x sempre, dice….non credo in queste “pause” del cavolo….lo conosco troppo bene, so che è finita. E’ dura ricominciare a vivere, a provare interesse quando la persona che ami di piu’ al mondo ti lascia. Mi sento morire quando esco con gli amici che frequentavamo insieme….quando penso a noi abbracciati nel letto, quando penso alla nostra casa che avevamo arredato x un futuro insieme…..mi sento morire. E’ come se mi avessero strappato il cuore, l’anima….perche’ lui è la mia anima e io lo amo piu’ di me stessa. Non potro’ mai dimenticarlo, non potro’ mai provare per nessuno quello che provo per lui. Mi sento senza forze. Non mi va di uscire, di truccarmi, di lavorare, di mangiare. L’unico momento in cui mi sento meglio è quando dormo (quando ci riesco) ma poi mi sveglio, e piango, perche’ la realta’ che mi trovo davanti è un’altro, durissimo giorno senza di lui.
per Valinda: ci sto provando, ancora non riesco ad essere lucida ma ci sto provando…ora sto pensando che dovevo essere più dolce, meno gelosa, dovevo rassicurarlo di più, che gli ho detto tante cose per rabbia che non pensavo ma invece dovevo cercare di parlare serenamente dei problemi!
per Mari…provo le STESSE IDENTICHE COSE, i primi giorni in cui mi ha lasciata dentro la nostra casa, arredata da noi, pronta per la nostra famiglia, che prima era piena dei bei momenti vissuti insieme, della confusione, anche delle litigate, dei baci, di TUTTE LE NOSTRE SPERANZE E I NOSTRI PROGETTI, ed ora così vuota, ora il niente, chiudevo gli occhi e pensavo che contando fino a tre poi li avrei riaperti e avrei trovato lui vicino nel letto o qui nello studio a lavorare al pc mentre io preparavo la nostra cenetta; ora provo a chiudere gli occhi e contare fino a tre e penso, riaprendo gli occhi, che in realtà la nostra storia non sia mai esistita, che è stato tutto un sogno…certo per lui è più facile, ora è in una casa nuova e se si guarda intorno non vede solo cose che gli ricordano noi..io ancora non riesco a sedere sul divano, a cucinare il caffè, a riempire la sua parte di armadio..
LORENZO: no, non sottolineavo le differenze tra la tua storia e la mia, facevo una riflessione, generale, sulle relazioni, sui ruoli..
Di certo non mi secchi a raccontare della tua ex. L’importante, Lorenzo, è che non ti tormenti tu a ripetere dentro la tua testa gli episodi. A me, a noi, puoi parlare liberamente.
A volte raccontare è liberatorio.
A volte serve a fare il punto con se stessi, oltre che a scambiare le esperienze.
A volte fa bene, a volte fa male, perché tiene ancorati ad emozioni negative, di cui potremmo cominciare a liberarci.
Anche questa riflessione è generale. A che punto stai tu, nella tua rielaborazione dell’esperienza, lo sai tu, ovviamente.
Con quale distacco racconti di te quando eri lì, a sentire cose che oggi sai di avere avuto il pieno diritto di sentire, anche se da fuori qualcuno ne negava l’esistenza, la violenza, l’entità.
Oggi sapresti concederti di parlare con quell’uomo fuori dalla chiesa.
Oggi ci andresti con qualcun altro, probabilmente, in chiesa.
Il problema al di là di quale fosse la sua forma di devozione (problema tra lei e lei, e lei e Dio) era che già allora sentivi disagio, per il suo modo di rapportarsi con gli altri, la vita e te.
Quella è “pancia”, e forse è anche cuore. Il cuore per noi.
Ma a volte, nell’ansia di farci piacere comunque qualcuno che per altri versi ci piace, tappiamo il cuore per noi.
Quale sia stato il tuo rapporto con tua madre lei non poteva saperlo meglio di te. E c’è una differenza tra dare la propria opinione ed entrare con una spranga nell’intimità di qualcuno.
La nostra intimità, nel senso di mondo interiore, è qualcosa che offriamo, condividiamo con gli altri, se così ci pare, se così sentiamo giusto, e fino a che punto ci pare giusto, potendo anche rinegoziare gli spazi, nel momento in cui qualcuno si fa troppo pressante, e tocca punti troppo sensibili. Lo facciamo di continuo con gli estranei, anche con gli amici e i parenti, se invadono troppo li fermiamo. Possiamo esserne più o meno capaci, ma comunque sia in generale ce ne diamo il diritto. Preferibilmente in modo diretto, fermo ma assertivo. Quando qualcuno invece entra con violenza, e ci destabilizza troppo dovremmo ascoltare il campanello d’allarme.
Le parole che feriscono a volte sono universalmente, persino banalmente dure. A volte no, lo sono per noi perché si collegano in qualche modo al nostro vissuto. Tuttavia se sono dette per colpire, e si capisce che è così, non è questione di caso.
Le parole assumono un
una particolare valenza emotiva a seconda da chi vengono pronunciate, in quale contesto, anche emotivo, con quanta violenza, e a seconda di quanto in quel momento noi siamo o ci sentiamo scoperti. Nel senso di senza difesa, no di sgamati. A volte, certo, toccano anche dei nostri punti sensibili. Spesso chi usa la molestia psicologica lo sa, perché magari glielo abbiamo detto noi quali sono. A volte sparano a raffica, e prima o poi azzeccano. Se ci dicessero che gli asini volano non crederemmo loro, ma toccare il rapporto con i genitori è un grande classico, perché il rapporto con i genitori è uno dei territori più sensibili. Nel tuo caso, poi, c’era di mezzo una questione ancora più emotivamente delicata. Anche buttarla sul senso di inadeguatezza, lo è. Sulla morale. Sull’egoismo. E varie.
Ma tu tutte queste cose le sai, e quindi, comunque, anche se lei ci ha provato, e per tot le sarà pure riuscito, alla fine hai detto no. Dalle esperienze si impara. Non è una buona cosa?
Venendo al tuo quesito: l’istinto ci dice che in una situazione stiamo male. Pure se siamo tenaci, di cuore, l’istinto produce sintomi: insonnia, inapettenza o eccessivo appetito, eccessiva concentrazione su un punto e deriva di altri aspetti della vita. Scarso senso di centratura in se stessi e disequilibri. Ansia. Senso di inadeguatezza. Confusione mentale. E altri.
E l’istinto di conservazione chiama lo spostamento. Spostati, e quindi ragiona, che dentro ad una sparatoria di dinamiche ed incastri ragionare, spesso, non si può.
I perché appartengono al cervello. Ma nel momento in cui siamo sotto forte stress emotivo il cervello può non essere in grado di decodificare bene. La fredda logica di cui parli tu quindi può non venire in aiuto. O può non essere sufficiente. Non nel momento in cui il pericolo non viene accettato come tale, perché andiamo in difesa interna della persona che abbiamo davanti o della relazione che comunque vorremmo continuare.
Bisognerebbe allora saper ascoltare il cuore, che dice: provo comunque un trasporto per questa persona, mi piacerebbe stare bene con lei.
Ma al contempo dare almeno lo stesso valore anche a istinto e testa: così sto male, devo spostarmi. Le ragioni per cui sto male sono reali per me. A quel punto è possibile anche rendersi conto se quello che chiamiamo amore è amore. Se amiamo da soli. Se la relazione ha reali margini, sani, o siamo solo ostinati.
Se siamo solo ostinati non stiamo usando il cuore del tutto. Perché il cuore ama anche noi