La fine improvvisa di un amore
di
Loredana
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ALVIN:
@Della mia certa sofferenza sono in fondo affari miei e me la vedo io con me stesso.
perdona la domanda che mi sorge spontanea… perché la tua sofferenza sono affari tuoi e te la vedi tu con te stesso e della sua sofferenza sono comunque affari tuoi e te la vedi tu con te stesso?
Non conosco la storia, ovviamente, e gli scrupoli sono apprezzabili, però non ho capito questo. Si ha quasi l’impressione che la tua sofferenza per te pesi di meno…
Però davvero non ho capito lo faccenda. anche se mi pare di capire che le problematiche sono molteplici…
mi pare di capire che la stai lasciando perché lei vede anche altri uomini (che le danno a loro volta il loro aiutino? non sono ironica, chiedo) e quindi è lei che ha fatto soffrire te?
non so, non capisco. però il concetto che ricorre molto nel tuo post mi pare è quello del sostegno economico. Praticamente ti sei preso un impegno che non manterrai più?
Scusa, non ho capito bene.
grazie
Grazie, LUNA. Ho deciso di lasciarla e voglio farlo senza farla soffrire, perchè Lei non lo immagina neanche minimamente. La mia sofferenza è già iniziata, perchè ne sono innamorato profondamente. Lei ha 15 anni meno di me che ne ho 52 ed è bellissima. Purtroppo ho scoperto che frequenta anche altri uomini per soldi. Ne ha molto bisogno perchè vuole comprare la casa per i figli. Ci vediamo una volta a settimana e negli altri giorni qualche e-mail o sms, telefonate rare, perchè Lei mette la segreteria oppure occupato o non risponde (penso perchè impegnata). Ho pensato di allontanarmi gradatamente. Ad esempio per il prossimo mese non farò e-mail, nè sms, nè telefonate. Risponderò solo alle sue. Poi limiterò i giorni (uno ogni due settimane) e il tempo insieme (max 2 ore). Credo che così, dopo un mese, si possa creare un distacco fisico prima, e affettivo dopo, così si abitua.
Il mio dramma è che non voglio farla soffrire per causa mia, perchè in fondo un poco mi vuole bene e ci tiene molto al mio piccolo aiutino in soldi. Alla mia domanda qual’è il tuo livello di innamoramento da 1 a 10, lei rispose 7, poi disse 8. Io, invece, sono a 1000. La mia sofferenza non conta nulla, perchè è solo mia e me la porterò dentro di me.Quello che conta per me è che non ci sia per Lei. Per Lei No! per me SI! Se Lei ha altri uomini per soldi non posso farci nulla, perchè è sposata e deve renderne conto al marito e non a me. E’ una sua libera scelta che io non posso impedire. Anzi lo potrei fare solo se ne avessi la forza economica. Tu stai solo con me e io non ti farò mancare nulla: queste parole non le posso pronunciare perchè si tratterebbe di un passo più lungo della mia gamba.
ALVIN: mi dispiace, ma continuo a non capire bene di cosa mi stai parlando.
Cioè, capisco che questa è la tua verità, il tuo punto di vista su questa faccenda.
Che mi sembra in generale molto amara.
E’ la prima volta che provo a scrivere in un forum.
Che dire, con piacere leggo le parole di LUNA. Io che per anni e che
tuttora sono “vittima” e in balia di un uomo che tanto faceva per
farmi sentire speciale ed era tutto per me, e che da un giorno
all’altro mi ha liquidato con mezze parole (neppure tanto piacevoli).
Da allora continuo impertterita a rimboccarmi le maniche, sperando
che tutto si sistemi… che qualcosa cambi… che lui torni ad essere
la persona speciale che era con me. Mi illudo?Non lo so…
Ho trovato solo giusto scrivere in questo spazietto per ringraziare
LUNA, che ha dipinto in maniera magistrale un rapporto di dipendenza
che ormai non fa altro che danneggiami da tempo e che nessuno aveva
mai descritto e capito così bene.
E’strana la vita,no?
Ha volte ti senti meglio compresa e rassicurata da persone che non
hai mai visto o che incontri solo di sfuggita per una volta in una chat…
ANNA: ciao 🙂 benvenuta 🙂 spero che tornerai qui a parlare insieme a noi 🙂
Sai, a volte le cose capitano per caso anche perché siamo sintonizzati per coglierle…
intendo dire che avresti potuto sentire o leggere le stesse identiche cose in un altro momento e non farci caso.
Forse se ci hai fatto caso vuol dire che ti sei anche un po’ rotta le scatole di come ti senti o che hai un livello di consapevolezza, tu, diverso, rispetto a come stai vivendo la tua vita.
Sul fatto della comprensione, che forse chiamerei… accoglienza, so che effetto può fare parlare di queste cose con persone che, pure in buona fede, non conoscendo il problema, possono dire cose che fanno sentire la persone che le vive “incompresa”.
Ciò non fa che rafforzare il senso di solitudine e confusione, anche mentale, in chi per l’appunto si trova in una situazione come quella che descrivi e di cui spesso ci ritroviamo a parlare qui.
Per non parlare poi di frasi come “alle donne piacciono gli stronzi” e altre cose che non solo non ci dicono nulla di più su un problema come la dipendenza emotiva, ma che attraverso dei pregiudizi finiscono anche con l’allontanare le persone che affrontano una certa situazione dalle possibili vie interiori di risoluzione.
Non so se esistano persone a cui piacciono gli stronzi, a me personalmente non sono mai piaciuti, me ne sono sempre tenuta alla larga fin dalla tenera età, riesco a dialogare probabilmente anche con un paguro, se il paguro è disposto a dialogare in modo diretto, non sono una donna di poco carattere, ho un q.i. sicuramente discreto e tuttavia mi è capitato comunque di non avere le difese adeguate nel momento in cui mi sono ritrovata in una situazione che percepivo come lesiva, ma che mi mandava, nonostante tutto, in profonda confusione. Ero consapevole di avere un problema e di essere in sofferenza. Ma qual era veramente? Poiché non riuscivo a capirlo bene, la mia mente viaggiava come su due piani, uno lucido e uno confuso, anche dall’emotività
e con tutta una serie di compensazioni anche automatiche per andare avanti lo stesso.
Perché, ovviamente, come te, ero tesa verso il lieto fine, quel lieto fine che avrebbe riportato le cose su un piano emotivo per cui non avrei sofferto più, sarei stata rassicurata, riaccolta, gli alieni mi avrebbero restituito il mio meraviglioso compagno, la mia meravigliosa vita per come l’avevo immaginata, e della quale, eccchecazz, non avevo forse diritto?, ecc ecc.
Nel frattempo mi stavo rincitrullendo sempre di più, anche senza rendermene conto. Avendo molte risorse il mondo avrebbe potuto anche non sapere mai, visto che, peraltro, a me non andava di dire gli affari miei manco per il c…iccio. Anche perché non mi andava di dire che la persona che avevo accanto era diventata così, visto che io ero disposta a concedegli il tempo per riabilitarsi… ecc ecc ecc.
ora non saprei riassumerti il percorso che è ancora in corso, ma il senso di questa mia è dirti che io credo che l’informazione sia fondamentale. Anche per capire che il problema esiste. Ma esistono le persone, e ciascuna è a sè. Intendo dire che ciascuna persona sa quale sia il suo livello di sofferenza e conosce la sua biografia, e che non si tratta di enfatizzare il problema, ma di permettere alle persone che vivono una situazione di disagio emotivo di questo tipo (che ha mille sfumature, e per questo parlo di persone, ciascuna con la propria storia) di non oscillare tra il terrore di avere un problema troppo grosso e incomprensibile al mondo e la negazione di avere un disagio che è invece comprensibile e anche risolvibile.
Anna, mi fa piacere che tu sia passata di qua, molto, e ti ringrazio. Se hai voglia ripassa ancora. Quando ti gira. In silenzio o scrivendo, come ti va. Domani, tra un mese, a prendere un… caffé 🙂 Anche mai, se hai altro da fare. Questo è un luogo libero, io, mi disegnano anarchica (in senso buono) un giorno sono capitata qui per caso e ho deciso di tornarci per questo.
baci :DDDD
Sai Luna hai ragione; credo di essere arrivata ad un livello di
consapevolezza tale per cui non so se mi vada ancora bene di essere calpestata
dal mio uomo. Cioè mi spiego, la persona con cui si decide di stare dovrebbe
trattarti come una principessa, io ne sono convinta, per questo ti dirò,
io il rispetto lo metto al primo posto… e dal momento che questo è venuto
meno (vedi tradimenti, parole cattive, mani alzate), io credo di essere arrivata
ad un punto limite di sopportazione. Ho pianto così tanto in questi anni, mi sono
umiliata, ho sofferto le pene dell’inferno addossandomi colpe che non avevo e che
ovvio per lui erano solo mie, che adesso non ce la faccio più.
Sto ancora malissimo, ma devo uscirne in qualche modo, spero di riuscire a trovare
il coraggio di mollarlo e di ricominciare una nuova vita.
Per chiunque legga, vi farò sapere se ce l’avrò fatta oppure se mi attaccherò
nuovamente e disperatamente alle sue braghe come se fosse l’unica
persona al mondo e per paura di rimanere sola.
A presto…
Ciao Anna 🙂
Le persone hanno comunque il diritto, sempre, di essere trattate come esseri umani, innanzitutto, prima ancora che da principi e principesse.
Il problema di queste situazioni è che il parametro è così andato a farsi fottere che anche la qualità di vita più banale (passami la parola banale) va a farsi fottere insieme al parametro.
La paura di restare soli può avere, certo, radici anche “antiche”, ma c’è molta gente che pure se non ha mai avuto la paura di restare sola, perché aveva una qualità di vita normale e dei rapporti con la propria identità normale, anzi, diciamo naturale, va, e anche con il circostante, scopre una paura abissale di restare da sola, proprio perché sta vivendo una situazione in cui non solo è da sola, ma fatica neanche per due, ma per 2500.
una situazione di costante battaglia doppia, anche interna, per riuscire a conservare… un’autoconservazione, e un’illusione… una solitudine non sana, e comunque ricca e aperta ad uno scambio con l’esterno in cui è possibile anche fare degli incontri che siano in espansione, ma una solitudine in implosione, e in assedio, mi ripeto.
debilitata, con la propria autostima messa continuamente sotto assedio e invasa.
quando ci si trova in queste situazioni che sembrano tunnel ci si sente così stanchi e debilitati che si impara a muoversi solo in adattamento e in difesa, costanti.
si smette di essere protagonisti della propria interiorità, avendo l’impressione di subirla passivamente.
si impara a camminare con la testa bassa, in tensione di resistenza nei confronti del prossimo colpo al cuore o anche al fisico, la prossima umiliazione o il prossimo manrovescio, la prossima parola cattiva o il prossimo vuoto che rimbomba in uno spazio già vuoto.
Vorrei stupirmi per quello che racconti.
Intendo, vorrei stupirmi nel sentire raccontare certe situazioni, certe oppressioni, certi giochi perversi di colpevolizzazione che finiscono con il toccare il punto dell’autocolpevolizzazione. Vorrei non sapere attraverso quali processi avvengono queste cose e
perché e come il veleno entra a poco a poco, fino a creare una resistenza che pare un’apparente anestesia, che in realtà proprio per la sua natura paralizzante ha dei costi salatissimi.
perché ci si ritrova al contempo a sentire ancora il dolore, il malessere, a stare male ogni volta che l’umiliazione, la violenza morale o anche fisica arrivano e colpiscono, perché ogni botta produce lo stesso stress emotivo/fisico che procurebbe se fosse stata isolata con però l’esponenzialità di essere invece seriale.
Perché si continua a sentirsi come criceti che corrono sempre sulla ruota e al contempo però immobili, perché il mondo apparentemente si restringe e l’angoscia invece si allarga.
perché la libertà, la porta aperta, di nuovo, su se stessi e sul mondo, invece di avere il gusto che ha la libertà, sembra assumere i connotati agorafobici di uno spazio troppo aperto, che viene chiamato vuoto e “paura di restare da soli”.
Come se si fosse animali che vissuti in cattività non saprebbero più vivere, cavarsela in uno spazio meno angusto di una gabbia di due metri per uno, e senza il guardiano che butta oltre le sbarre un pezzo di carne e insieme la frusta, a volte solo la frusta, se la porta si aprisse.
In realtà chi esce da queste situazioni dopo i primi momenti scopre che la libertà non è come l’ha dipinta il guardiano, secondo il suo interesse.
scoprono che non solo se la cavano benissimo, ma, tornando tutti interi (lo erano anche prima, ma l’immagine scomposta di sè derivava dall’oppressione) e in forze se la cavano centomila volte meglio di quanto potevano immaginare nei momenti in cui dicevano: se avessi il coraggio… perché io non ce la faccio più…