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Il suicidio

di beppino
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14.941 commenti

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  • 9861
    Eme -

    Parlo da profana talmente profana che, probabilmente, dovrei stare zitta.
    Credo che ci sia un momento in cui, in qualsiasi terapia, l’intelligenza umana debba necessariamente fare capolino.
    Se ho un malessere, assumo psicofarmaci, faccio fuori il sintomo e poi metto la testa sotto la sabbia facendo finta di ignorare che il sintomo ha, sempre e comunque, una causa e, al grido di “ora sto bene ma chi cavolo se ne frega di andare a rimescolare in ciò che mi provocava malessere-va a finire che sto male di nuovo-lasciamo perdere”, continuo a stare con la testa sotto la sabbia ….e bè, perdonatemi l’espressione, ….sono una pirla destinata a fare la fine riservata ai pirla.
    Un pò come chi ha mal di denti, si rimbambisce di antidolorifici e procrastina all’infinito l’inevitabile incontro con il dentista salvo poi sfondare con la testa il portone dello specialista e rimetterci il dente e un sacco di soldi.
    Far tacere, blandire, addormentare il sintomo dovrebbe essere considerato come un attimo di tregua in cui riprendere fiato ed affrontare il motivo del malessere.
    Affrontarlo reagendo spinti dall’artefatta serenità provocata dalla tregua con la consapevolezza che si tratta di una serenità artefatta.
    Fermi i casi in cui il disagio è provocato ANCHE da alterazioni che riguardano “la chimica” del corpo umano e l’assunzione di sostanze chimiche, forse, ha un effetto diverso ed ulteriore rispetto alla creazione di una serenità artefatta. E qui mi fermo per pura ignoranza cautelandomi con tutti i “FORSE” del caso perché mi pare che le scuole di pensiero siano veramente tante per avere certezze.
    Se ho un mutuo sul gobbo e mi mancano i soldi per pagarlo con gli psicofarmaci non risolvo nulla: mi servono soldi. E fin qui ci siamo.
    Ma se ho un mutuo, perdo il lavoro, mi mancano i soldi, vengo colto dal panico, dal terrore, oppure divento una bestia e aggredisco tutti, mi tappo in casa, perdo o brucio le poche occasioni che si presentano, divento l’emblema dell’insicurezza e della paura può darsi che grazie (o “grazie”) agli psicofarmaci io possa riprendere il possesso di quel minimo di equilibrio, di razionalità, di serenità che mi consente di affrontare e gestire la situazione sia della mancanza di soldi che di panico/terrore/depressione conseguente.
    Per questo credo che demonizzare sempre e comunque la categoria “psicofarmaci” e rifiutarne l’assunzione possa diventare una sorta di potenziale hara-kiri.
    Se in preda al disagio mi ammazzo o lascio che le mie fobie mi “brucino” la mente trasformandomi in una larva piena di complessi , di tic, di fobie invalidanti ha un senso porsi il problema degli effetti negativi degli psicofarmaci?
    Una volta che sono crepata o divento incapace alla vita, bè, il finire sotto terra o in fila in qualche consultorio per dementi indigenti con il sangue pulito, non contaminato da sostanze chimiche direi che diventa….irrilevante.
    Certo…..occorre un minimo di sale in zucca. Come in TUTTE le cose.

  • 9862
    Marquito -

    Io mi limito a constatare un fatto evidente, di cui dobbiamo necessariamente prendere atto: gli psichiatri si accapigliano da anni sulle cause della depressione e per quanto riguarda la sua origine non sono mai riusciti a mettersi d’accordo. C’è chi sostiene che la causa sia organica e chi sostiene che la causa sia di ordine psicologico… C’è chi chiama in causa la genetica e chi tira in ballo la sociologia … Che esista un nesso causale fra la depressione e la carenza di serotonina è un fatto comprovato dall’esperienza, e io ne sono la dimostrazione vivente. Ovviamente si può ipotizzare che la carenza di serotonina sia dovuta a un malessere psicologico che ha alterato l’ equilibrio chimico del cervello … Tutte le ipotesi sono degne di rispetto; l’importante è che non si trasformino in dei dogmi. Allo stato attuale non esistono verità assolute, perché gli stessi specialisti brancolano nel buio e sono perennemente in conflitto fra di loro. E’ evidente che se l’origine della depressione dovesse risiedere nella carenza di certi neurotrasmettitori cerebrali, allora l’azione degli psicofarmaci dovrebbe essere valutata in modo completamente diverso, perché non si agirebbe più soltanto sui sintomi, ma anche sulle cause. Ma come ho già detto ci muoviamo nel campo delle ipotesi ed è per questo che è molto importante essere pragmatici.
    La mia storia dimostra che ci sono circostanze in cui è assolutamente necessario somministrare al paziente delle massicce dosi di anti-depressivo. Di fronte al dato empirico, di fronte all’esperienza concreta di una completa guarigione, non ci sono più preconcetti che tengano. Adesso vi racconto la mia storia in modo più dettagliato.
    Dopo il mio primo tentativo di suicidio, io mi trovavo in bilico far la vita e la morte e la mia sofferenza aveva raggiunto livelli assolutamente intollerabili. La psichiatra che mi aveva in cura nutriva un’indicibile avversione nei confronti degli psicofarmaci, e una smisurata fiducia nei riguardi della psico-analisi. Mi prescrisse una terapia combinata, in cui una piccola dose di antidepressivo (assolutamente ridicola e assolutamente insufficiente) era associata a lunghe e frequenti sedute di psicoterapia. Il risultato fu che dopo un anno ritentai il suicidio (SEGUE)

  • 9863
    Marquito -

    Fu a questo punto che mi vidi costretto a cambiare medico ed a tentare un approccio di tipo farmacologico. Il mio nuovo psichiatra si rese conto che mi trovavo in una situazione di assoluta emergenza e che finché non si fosse riportata la serotonina su dei livelli accettabili, qualsiasi tentativo di psicoterapia sarebbe stato destinato a fallire. Per tre lunghi mesi dovetti recarmi presso un istituto privato, dove gli antidepressivi mi venivano somministrati anche per endovena. In quel periodo fui letteralmente bombardato di psicofarmaci, per il semplice motivo che non esisteva più nessun’ altra alternativa. Stavo letteralmente impazzendo per il dolore e trascorrevo le mie giornate meditando il suicidio; come se non bastasse ero afflitto da un disturbo ossessivo-compulsivo estremamente invasivo e terribilmente invalidante. Dopo sei mesi di trattamento i disturbi dell’umore erano completamente scomparsi e anche le compulsioni si erano rarefatte in modo impressionante.
    Qualcuno gridò al miracolo; ma l’aspetto più interessante della vicenda fu quello che accadde nei due anni successivi. Le dosi di antidepressivo furono gradualmente ridotte senza che il mio equilibrio psichico ne risentisse in alcun modo. Da 500 mg (+ le flebo) scesi fino a 100 mg e nonostante tutto questo continuai a stare bene … ormai si era innescato un circolo virtuoso che mi permise di riacquistare fiducia nella vita e di affrontare tutti i miei problemi con uno spirito diverso.
    Ovviamente sarei un pazzo se consigliassi a tutti i depressi di seguire il mio stesso percorso terapeutico. Ognuno di noi rappresenta un caso a sé ; ognuno deve adottare il metodo che è più appropriato alle sue caratteristiche. Quello che mi premeva sottolineare è proprio il fatto che non esistono regole assolute valide per tutti. Ci sono delle situazioni-limite in cui soltanto un’ingente dose di psicofarmaci può mutare il corso del destino e salvare in modo definitivo la vita del paziente.

  • 9864
    Eme -

    C’è chi non ha bisogno di psicofarmaci perchè ha un disagio risolvibile diversamente.
    C’è chi ne ha bisogno in modiche quantità.
    C’è chi ne ha bisogno in dosi da cavallo ma solo per un periodo di tempo perché, dopo, viene modificata la terapia.
    E c’è chi non ne ha bisogno perché la sua mente è “altrove” e altrove resterà anche se gli venisse iniettata un’ autocisterna di psicofarmaci. Ossia quelli che nella terminologia dei non addetti ai lavoro sono “i matti”, quelli che dovrebbero essere assistiti, protetti, assecondati nella loro intelligenza non inferiore ma diversa da quella comune e non rinchiusi, legati, sedati e ridotti a carcasse umane che non vivono e non riescono a morire.
    Nei casi in cui un disagio sia affrontabile e, quantomeno potenzialmente, risolvibile l’assunzione di un qualsiasi farmaco dovrebbe scatenare una sorta di effetto domino: addormento il sintomo-affronto la causa-la curo-sparisce il sintomo-cesso l’assunzione dei farmaci.
    Su consiglio e con l’aiuto di un terapeuta con la speranza di non finire nelle grinfie di chi si fa la villa al mare con le nostre paturnie o con le cragnotte delle multinazionali.
    Sulla dipendenza non mi pronuncio. Il rischio che l’assunzione di psicofarmaci diventi quasi un gesto scaramantico o di cautela, in effetti, è alto.
    Ma, anche in questo caso dovrebbe subentrare l’intelligenza umana, la stessa che dovrebbe sconsigliare a chi è stato sottopeso di ipernutrirsi nel momento in cui diventa obeso e con il colesterolo alle stelle.

  • 9865
    alessandro -

    Potrei parlare all’infinito di ‘plasticità encefalica’ per far capire, tentare di far capire, a qualcuno come questa caratteristica del cervello risenta dei condizionamenti ambientali, che alterano la produzione in eccesso o in difetto di serotonina.
    Schematicamente, la serotonina è il mediatore per l’affettività, e quando è poca c’è depressione, su questo non c’è dubbio.
    Il problema dov’è? Il problema, tornando al concetto di cervello plastico, che rispondendo in un dato modo a certi condizionamenti ne modifica, quindi, la sua normale fisiologia, è capire le ragioni vere di questi condizionamenti. Tutto quello che si vuole: conflitti, mutui da pagare, disoccupazione, miseria, incomprensioni, lutti, separazioni, insomma tutto. Se non si interviene su questo, ahi voglia a prendere psicofarmaci, i quali, lo ripeto, non intervengono in alcun modo sulla causa ma solo sul sintomo, e questa è farmacologia non opinione di un Alessandro qualsiasi.
    Allora, detto questo, è chiaro che il cervello c’entra no? Ci mancherebbe altro, il punto incontestabile è che la depressione nulla ha a che vedere con squilibri endogeni, cioè interni al cervello, ma la fisiologia di questi viene condizionata da fattori esogeni, cioè esterni.
    Poi possiamo parlare quanto volgiamo di neurotrasmettitori e di sinapsi, ma il concetto non cambia, il concetto base è sempre questo: un encefalo, un cervello, un organo in grado di esprimersi e definirsi in funzione del suo rapporto con il mondo esterno. Il cervello è in relazione con il mondo e si modifica in base ai suoi condizionamenti e stimoli e in base all’esperienza.
    Attraverso gli psicofarmaci, invece, si è, purtroppo, imposta la visione ‘molecolare’ del cervello: tutto è biochimica e null’altro.
    A livello neurologico la caratteristica principale del cervello è il collegamento di cellule tra loro e quindi il passaggio dall’attività di un neurone a un altro a esso contiguo, che avviene attraverso la formazione e liberazione di una sostanza endogena che interagisce con un recettore specifico, formato da una o più molecole che si dispone con gruppi polari speculari a quelli del neurotrasmettitore.
    La sinapsi è questa: incontro tra una molecola endogena e un recettore: la prima è prodotta dal neurone da cui inizia la trasmissione, il secondo si trova localizzato sulla membrana del neurone collegato che riceve il messaggio. E fin qui ci siamo. Benissimo! Ma tutto ciò si modifica e altera per effetto di stimoli esterni, ed è questo che certa psichiatria, intrallazzata a doppio legame con le farmaceutiche, si ostina a non voler riconoscere. Ed è fin troppo facile andare da una persona, da una persona che soffre atrocemente, e proporgli un molecola sintomatologica sintetizzata in laboratorio come la soluzione di tutti i suoi mali.

  • 9866
    alessandro -

    Faccio un esempio per cercare di farmi capire: se sei paralizzata da un lutto e dall’assenza di una persona che ritenevi necessaria al tuo vivere, è su quello che devi intervenire, per superare quella paralisi, se sopprimi solo quel dolore, se neutralizzi quella sofferenza e non cerchi in alcun modo di capire che tu puoi e devi continuare la tua vita con la possibilità di avere altri legami altrettanto necessari e significativi per la tua vita, con gli psicofarmaci che ti tolgono quel sintomo da cui devi partire per comprendere questo che ci fai?
    Una sola cosa: ti de – emozianalizzi e vivi come un automa. Stai ‘bene’ perché non pensi più al suicidio, non sei più triste ecc, ma non vivi perché non provi più nessuna emozione, anche emozioni malinconiche. E ovviamente, mai prenderai consapevolezza del tuo vero male! E quindi, alla fine: uno psicofarmaco come destino!
    Detto questo, io non sto demonizzando proprio nulla, sto solo facendo un ragionamento obiettivo e basta. Anzi ho detto che chi ritiene di assumerli che li assuma perché a volte, certi sintomi, sono davvero atroci ed intollerabili e ci vuole un po’ di tregua, ma il discorso non cambia. E non lo dico solo a livello di teoria, ma perché ho persone depresse in casa, mia madre, depressa davvero. Non la seguo io, mai mi permetterei di fare il ‘professionista’ con lei e su di lei, ma per ora farmaci non ne assume più. Sta ferma, stesa su un divano, tace e piange. E’ da quando mia sorella è andata via di casa che è così, ed è peggiorata da quando ho avuto la diagnosi io di cancro. Ha preso il cipralex ed è stata peggio, e se dovessi morire io, si ammazzerebbe lei, e già lo dice: un salto nel vuoto. Io (che ho una progosi infausta: la mia patologia tumorale non lascia molte speranze oltre un’aspettativa di vita non superiore ai 5 anni dalla diagnosi…tra poco sarà un anno…), la mia sola presenza è il suo motivo per essere ancora al mondo e la sua terapia, altro che psicofarmaci.
    Certo, questa mia personalissima esperienza non è un assoluto, non è una verità, però è significativa se riferita al discorso che ho fatto.
    Quanto alle dosi da cavallo o eccessive ecc…beh che dire…lo si vada a dire a chi ha sviluppato diabete indotta da antipsicotici, alterazioni renali ed epatiche da antidepressivi e litio, infarti, scompensi cardiaci, discinesia tardiva ecc…si vada a parlare così a loro, si vada a dire a loro di accettare tranquillamente qualche ‘effetto collaterale’, tanto, che vuoi che sia…di certo avrebbero risposte molto più valide che non le mie! E quelle risposte, pur con i miei trent’anni e i miei insignificanti dieci mesi di servizio in un Spdc (in realtà però, è dal terzo anno di medicina che frequento questi reparti e gli Opg, e in questi ultimi credo davvero che nessuno di voi, per vostra fortuna, ci abbia mai messo piede) le ho sentite dare, a tanti medici ed infermieri, a tanti professionisti del ‘che vuoi che sia’…

  • 9867
    buck -

    Ogni tanto , qualcuno , mascherato magari da Nessuno , scrive ( senza pensare) delle stupidaggini cattive ( cattive per chi riceve , il messaggio , stupido per chi lo lancia). Fatevi sotto , avanti: andate a lavorare la terra , pensate ai malati gravi ( perchè òa depressione ancora per qualcuno , non è una malattia) , andate in Africa , andate a convertirvi.. E lo stupidario si allunga. Credo che effettivamente siate in tanti ( gli stupidi supereranno sempre i suicidi od aspiranti tali , ma dalle scatole non si toglieranno mai).

  • 9868
    Marquito -

    Al di là della divergenza di opinioni, mi fa piacere che finalmente si riesca confrontarsi in modo civile, senza ricorrere a insulti e ad anatemi.
    Ho letto con grande interesse l’ultimo intervento di alessandro , di cui nessuno mette in dubbio la preparazione teorica; sono consapevole del fatto che la sua impostazione è condivisa da diversi psichiatri; ma al stesso tempo sono costretto a ribadire che non è la sola. Come ho spiegato in precedenza le scuole di pensiero sono veramente moltissime, anche se in modo un po’ schematico si potrebbero ricondurre a due grandi filoni: quello più materialistico (che ne fa soprattutto una questione di chimica e che sempre più spesso tira in ballo la genetica) e quello a cui si richiama alessandro, che si concentra sulle problematiche esistenziali, sulle carenze affettive e sui traumi psicologici, e che ravvisa in queste problematiche l’origine degli squilibri chimici e della carenza di serotonina all’interno del liquido cerebro-spinale.
    La questione è estremamente complessa; nessuno ha la verità in tasca ed è per questo che secondo me sarebbe bene sperimentare diverse soluzioni, adattando la terapia alle caratteristiche del singolo paziente e rimanendo sempre disponibili a rivedere l’impostazione iniziale.
    Comunque la si voglia pensare, resta pur sempre vero che senza il ricorso agli psicofarmaci io non mi troverei qui a scrivere e a discutere piacevolmente con voi (qualcuno dirà: che fortuna …) e che un discorso analogo si potrebbe fare per moltissime migliaia di persone. Ho l’impressione che lo psichiatra e il malato osservino la situazione da due prospettive differenti, e che sia proprio questo fatto a determinare fra di loro una parziale incomprensione. Lo psichiatra si pone il problema di rimuovere le cause del disagio e non si può assolutamente accontentare di rimuovere “soltanto” i sintomi. Per lo psichiatra rimuovere “soltanto” i sintomi è un risultato del tutto insoddisfacente. Il malato sarebbe ben felice di risalire alle cause, ma se se si trova a un passo dal suicidio, e la sua sofferenza è divenuta intollerabile, ritiene che l’eliminazione dei sintomi rappresenti comunque una meravigliosa conquista. Per il paziente la cessazione del dolore è la priorità assoluta, per il semplice motivo che non riesce più a tirare avanti e la sua esistenza è divenuta un inferno. In quel momento soffre troppo intensamente per occuparsi di dispute teoriche… Avete presente la parabola di Budda sulla casa in fiamme ? Un cadavere non avrà mai la possibilità di investigare le cause profonde del suo malessere.

  • 9869
    Marquito -

    @ Buck:
    Buck; non prendertela; qui ci sono dei disperati che ogni tanto entrano nel forum per aggredire ed insultare gli altri utenti. Sono talmente vigliacchi che non hanno nemmeno il coraggio di firmarsi … La loro stupidità è pari soltanto alla loro codardia. Non vale neppure la pena di rispondergli.

  • 9870
    DAGO44 -

    Ci sono momenti in cui il mondo..sembra provarci gusto nel farti soffrire e sembra non esserci via di uscita..Ma non perderti d’animo : ricorda che c’e’ sempre qualcuno che ti aiuta a reagire e ti asciuga le lacrime.Qualcuno che anche con una semplice carezza o con uno sguardo profondo,ti accompagnera’via da questa sofferenza.Quella persona si chiama Amico… Buona Domenica Ragazzi,un abbraccio a tutti.DAGO44

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