Il suicidio
di
beppino
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Se puoi correre nel vento corri nel vento, se puoi piangere e gridare piangi e grida e urla e incazzati e sorridi e poi fallo di nuovo e fallo ancora e fallo sempre e fottitene…se puoi parlare e sfogarti fallo e non trattenerti e non limitarti, e non rimpiangere il passato e non rincorrere il futuro, nè l’uno nè l’altro ti appartengono più e possiedi ancora…ma spesso si guarda indietro e a ritroso si ripercorrono tappe e ci si dispera e tormenta, alcune cose sono andate in un modo e ti incazzi perchè ora ti sembra fin troppo facile come sarebbero potute andare diversamente, forse in maniera più giusta e migliore, ma io l’unica cosa che ho imparato dai tanti disastri di questa vita, da quelli miei e da quelli di chi mi nè stato possibile conoscere come uomo e come medico, è di cercare di non avere rimpianti, non perchè tutto è stato giusto, ogni scelta azzeccata, ogni mossa perfetta, ma perchè il dramma non è mai il passato bensì il futuro sempre, un futuro da immaginarsi e costruirsi, e allora si cerca di costruire un futuro possibile per un nuovo giorno da affrontare…Cerchi i desideri più forti e li metti in ordine, con qualche dubbio, legato alla paura, che è compagna sempre fedele e sempre costante…
Corri in questa vita, e la meta ti sfugge sempre più mentre tu vai sempre più lontano e più forte, corri su questa terra in una percezione finita del tempo, nella sua infinità forse rimarremmo immobili, in un rimando automatico che non troverebbe mai la forza per farsi azione e talvolta reazione, perchè è giusto ribellarsi, insorgere e protestare, ma è bene sapere sempre che a nulla serve, almeno questo io credo e questo mi aiuta…
Ritengo che nulla abbia senso e significato, ma ciò che scegli e partecipi esprime sempre e comunque un qualcosa di te che vuoi lasciare, trasmettere, donare agli altri, rivela una sensibilità talora estrema che ti dispone a capire il dolore e l’altrui sofferenza, a condividerla e a fare qualcosa per alleviarla, e questo già è una ricerca di senso del nostro essere nel mondo, è una ragione di vita, è il senso possibile all’esistenza di tutti e di ognuno…
Alle volte ci si sente stanchi e spesso stremati, si è tentati di cedere e facili alla resa, come uno scalatore che teme per le proprie mani, per le dita raggelate e irrigidite che non possono, o forse non vogliono, aderire alla roccia, e la sua friabilità diventa il suo alibi…ma chi ci tirerà via da quel dirupo e chi ci sosterrà nella restante fatica fino alla vetta? Quali mani afferreranno le nostre, stanche e deboli, in quegli ultimi metri che paiono infiniti come l’ascesa in un paradiso sempre promesso e mai raggiunto?
Non lo so, ed è giusto così, io ho le mie risposte, e valgono solo per me, ognuno ha le sue e deve giustificarle solo a sè…
Auguri !
Il giro in ospedale l’ho appena finito, Isabella, molti mesi, molte persone che lottavano e che morivano. Non ha migliorato la situazione, la sofferenza degli altri non sana la propria.
Occorre vedere come si vive, Alessandro, non credo alla sacralità della vita, in nessun senso. E’ fortunato chi vive fino alla vecchiaia rispetto a chi muore in gioventù? E’ fortunato chi riesce a vivere con passione, intensità, la quantità vale meno della qualità. Il senso non c’è più ora, da parecchi anni, in altre stagioni della mia vita c’era, non parlo di qualcosa che dia valore metafisico alla propria esistenza, il mio era un discorso molto più banale. Senza gioia, speranze, intensità, con la chiara percezione di troppi errori e fallimenti irrimediabili che senso ha per me trascinarmi per anni stancamente in attesa dell’esito al quale tutti presto o tardi giungiamo? Non credo sia questione di aspettarsi ricompense ma dell’insostenibilità di alcune condizioni esistenziali, o meglio sostenibili al prezzo di condurre vite svuotate di vita come chi passa 50 anni in un manicomio. Francamente avrei preferito un cancro a 30 anni.
…’vite svuotate di vita come chi passa 50 anni in un manicomio’…
Come uomo e come medico psichiatra mi sento di respingere e rifiutare, e con forza, simili affermazioni, perchè come uomo e come medico psichiatra, come persona impegnata sul difficilissimo fronte della sofferenza psichica ho creduto e crederò sempre, finché avrò respiro, che quella persona, internata per 50 anni, ha il sacro e santo diritto a vivere la sua vita per quel che gli resta…c’è gente che si è sposata non appena è uscita, che per la prima volta ha scoperto il mare, che va a fare la spesa, che va a messa, che scambia un bacio con qualcuno, che vive ciò che a noi è concesso ogni giorno e pensiamo non valga un c.... e che a loro è stato negato per una vita intera e rappresenta tutto il senso e il valore della loro esistenza di sopravvissuti…con quale diritto sentenziamo definendole vite ‘svuotate di vita’? Forse a loro manca il senso in sè come manca e te, a me e a tutti, ma c’è in loro quella vita che è fatta di quella libertà minima che, appunto, a noi oggi è concessa e a loro ieri è stata negata e per un’eternità!
Facciamo attenzione nell’emettere certe sentenze…molta attenzione!
Se oggi ci fossero ancora i manicomi, ti garantisco che tutti coloro che amano definirsi ‘depressi’ ecc lì dentro ci finirebbero, al di là se lo siano realmente o meno, al di là se si tratti di fisiologici malesseri esistenziali o di patologici disturbi con valenza clinica, ci finirebbero perchè così imporrebbe il potere degli interessi e del perbenismo, allora forse molti la smetterebbero di considerarsi depressi e molti altri si vedrebbero internati, stuprati nelle membra e nell’anima, legati e narcotizzati e non certo curati e compresi e sostenuti nei loro percorsi e nelle loro incertezze e precarietà esistenziali…per loro, per questi esseri ‘svuotati di vita’, questo è stato il destino, assoluto e inappellabile’ forse ‘cinico e baro’ come direbbe qualcuno, poi se n’è aperto un altro e io non mi permetterei mai di definirlo ‘svuotato di vita’ perchè se così fosse sarebbe senza vita anche il mio e quello di chiunque fa il mio mestiere e crede in quello che fa.
Quanto al cancro a 30, questione di punti di vista!
Alessandro, quando parlo del valore o meno della vita mi riferisco sempre e solo alla mia vita, non a quella degli altri. Mai pensato di avere il diritto di scegliere per gli altri, quello che so è che per me vivere in quelle condizioni per decenni sarebbe peggio della morte e non tanto o solo per le condizioni oggettive di degrado e abbandono ma per quello stato interno che la tua professione definisce col termine di sintomi negativi, qualsiasi cosa li determini, il disturbo in sè o l’istitulizzazione. Poi, guarda, sull’utilità della psichiatria soprattutto, ma non solo, nella cura dei disturbi psichiatrici più gravi ho parecchi dubbi, più che contenere e attenuare i sintomi di solito non fa. Per non parlare delle qualità umane di molti tuoi colleghi, ricorderai certo chi a questo proposito parlava di crimini di pace.
Ho avuto la depressione, la melanconia, conosco la differenza tra la tristezza vitale e il sentimento comune del sentirsi tristi e la conosco non per averla percepita negli altri o averne letto la descrizione, anche ottime descrizioni come quella di Borgna, ma per averla provata in prima persona. E puoi tranquillizarti riguardo alla sorte dei “comuni” depressi nel caso di ritorno dei manicomi, non si potrebbero internare milioni di persone, se non altro per ragioni di bilancio, come la storia della deistitutalizzazione ci insegna. La strada intrapresa da tempo è il farmaco, forse con l’aggiunta in futuro di un inasprimento dei tso, una soluzione in linea con le esigenze di cassa dell’economia contemporanea.
Riguardo al cancro, prima o poi arriva per tutti- se non proprio un tumore un infarto o un’altra condizione letale. Come ho già scritto, per me conta di più la qualità della mia vita, non la quantità.
Affermazioni azzardate ma al contempo scontate le tue, forse troppo. Provo a replicarti partendo dal principio…l’utilità della psichiatria, così come è esercitata ed applicata almeno, sfugge anche a me, e molto. Il supremo principio della medicina impone: PRIMO NON NUOCERE! La prassi clinica della psichiatria trasgredisce, sistematicamente, questo principio, basti vedersi sottoposti ad un Tso e si capirebbe il tutto. La logica è quella di contenere e soffocare, siamo d’accordo, non dici nulla di nuovo ed è quello che io ho sempre detto e sostenuto, in ogni occasione, in incontri reali e pubblici dibattiti, non certo solo su siti internet. Resta il fatto che la chiusura effettiva dei manicomi è avvenuta nel giugno 2000, con l’uscita degli ultimi degenti dal Santa Maria della Pietà, il grande manicomio di Roma. Resta il fatto che il primo psicofarmaco risale al 1952, un antipsicotico prodotto in laboratorio, la cloropromazina. Ma da allora i manicomi sono esistiti fino al 2000 appunto, anche se dal febbraio del 1980 non potevano più accogliere pazienti oltre a quelli che già contenevano. E con il ‘miracolo’ della chimica non sono aumentate le dimissioni dal ’52 all’80 ma è cresciuto il numero di coloro che ci entravano, e non lo dico io ma le statistiche del settore. Corri troppo amico, corri troppo!
E così, se ancora fossero attivi, sarebbe oggi, perchè forse tu conosci la depressione in prima persona e magari, ma magari davvero, io solo quella dei manuali, tu credi, ma io conosco dal di dentro il sistema perverso della psichiatria, e ti dico ancora, e lo sottolineo, che se ci fossero gli ospedali psichiatrici, molti ci finirebbero dentro. Vatti a leggere Basaglia, l’Istituzione negata e Conferenze brasiliane, poi ne riparliamo.
C’è da dire poi, che allora come ora, nei manicomi dell’epoca come negli Spdc odierni, la farmacologia era ed è sempre una violenza: i sedativi (ed ogni psicofarmaco è solo e soltanto sedativo) agiscono da camicie di forza chimiche, causano una amputazione mentale, una costrizione del pensiero, delle idee, degli affetti. Seguivano e seguono la stessa identica logica e direzione delle docce fredde, dei bagni gelati, del contenimento ai letti, del confinamento in una stanza di 2 metri x 3 imbottita di cuscini così che il ‘pazzo’ lì rinchiuso potesse dimenarsi senza fracassarsi le ossa, cioè il bisogno di tenere sotto controllo certi aspetti comportamentali che avrebbero potuto trasgredire la norma per diventare poi pericolosi.
Il lavoro dello psichiatra non ha nulla a che fare, come si vede, con la libertà, ma si confronta a viso aperto con la violenza e il sopruso. Con la sopraffazione e le angherie che lui stesso in nome della sua ‘scienza’ esercita e reitera. Impunitamente! Quindi, come vedi, un pò in sintonia siamo, a parte certe tue pretese, come quella da cui sono partito.
Basaglia, oltre a parlare di ‘crimini di pace’, ha scritto: ‘nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, noi non possiamo vincere, perchè è il potere che vince sempre. Il potere degli interessi, il potere del denaro, il potere delle posizioni conquistate ed occupate. Noi possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo noi vinciamo, cioè determiniamo una situazione di cambiamento, di metamorfosi, difficile da recuperare’.
E’ questa unione che ha portato alla legge 180, detta, appunto, Legge Basaglia. La chiusura dei manicomi non è avvenuta per esigenze di cassa, perchè oggi la spesa destinata all’assistenza psichiatrica è infinitamente superiore a quella che necessitava per il sistema manicomiale. Il tuo è un discorso errato in quanto sovverte i termini di riferimento. Ed è per questo che si è parlato e si tornerà a parlare della riapertura di queste strutture, perchè in quanto contenimento, il contenimento costa poco e produce molto, perchè basta sentenziare la ‘cronicità’ della schizofrenia e delle psicosi gravi (per queste patologie si parla di sintomi positivi e negativi, non per la depressione, a meno che non ci si riferisca a depressioni psicotiche) per trovare ‘giustificazione’ morale (perbenisti ipocriti come siamo…) e facile, rapida e pratica attuazione concreta per quel bestiale contenimento.
Le cose bisogna conoscerle, e conoscerle a fondo prima di parlare con troppa facilità come capita di veder fare amico.
Su cancro, infarto e altre situazioni letali e accidentali che possono portare alla morte, scusami ma non capisco…prima o poi si muore o no? O siamo eterni (che poi a dire il vero nemmeno vorrei esserlo!)? Cioè mi sfugge la logia del tuo discorso…Su Borgna, diverso tempo fa suggerì un suo libro, Malinconia appunto, molto ben scritto. Tuttavia psichiatri come lui ce ne sono pochi in giro, purtroppo!
Alle volte credo di essere invisibile.
Per obbligo, domani mattino andrò in chiesa e suonerò il pianoforte. Non ho voglia di farlo. Ma nessuno tiene conto di quanto io pensi o voglia. Domani mostrerò il solito sorriso, la solita beatitudine mentre invece dentro sarò destabilizzato e angosciato.
Vorrei sparire.
Ciao.
Non so che cosa fare con la mia vita. Ho l’impressione di aver fallito in tutti i campi che sono i miei. Non potrei essere scrittore…perché scrivo male. Non potrei essere pianista…perché non ho abbastanza tempo per diventare un professionista. Ho l’intuizione di qualcosa, una cosa che si nasconde in fondo a me e non riesce a venire fuori. Ho voglia di correre in ampi spazi erbosi, di volare, e soffoco qui nel mio piccolo mondo. Vorrei comporre musica, ma le uniche cose che ho composte sono…da buttare via. Vorrei scrivere poesia, ma le mie 300 poesie sono anche da buttare via. In realtà non riesco a capire che cosa potrei fare per “ritrovare me stesso”. Non riesco a realizzarmi, è come se in fondo a me ci fosse un embrione…un qualcosa che ribolle, senza poter nascere. Vengono fuori delle cose da buttare via, niente di molto importante, delle nullità. Forse m’illudo…forse non nascerà mai nulla da questo cervello stanco…Non immagino una vita senza creazione. Non immagino una vita sterile…ma fallisco in tutto quello che provo!!!!!
Parto dall’ultimo punto: la logica è che non sempre avere un cancro è la cosa peggiore, anche nel caso di un esito letale perchè, come avevo scritto, la quantità di vita non vale quanto la qualità, ciò vale almeno per me.
Sintomi negativi nella schizofrenia, qualcosa al riguardo ho letto: il riferimento era volutamente a quel disturbo considerato, a torto, dai più inguaribile, progressivamente degenerativo e quindi con prognosi infausta, in linea con la posizione di Kraepelin sulla dementia praecox che, da quel che leggo, pare sia tornata di moda negli ultimi decenni tra gli psichiatri. Certo un disturbo che conosco poco, solo da letture non essendone affetto, così come poco conosco il disturbo bipolare, la vecchia psicosi maniaco depressiva e molte altre patologie descritte nel DSM: ciò che conosco bene, avendola provata di persona, è la depressione maggiore e magari anche la distimia.
I costi delle cure vanno rapportati al numero dei pazienti, non considerati in assoluto: dal momento che si assiste ad un aumento di molti disturbi- depressioni, doc, anoressia, ecc.- non sorprende un aumento delle spese, convogliate sul farmaco per ovvie ragioni di business. Un incremento di patologie legate strettamente agli sviluppi socio-economici, probabilmente.
L’inizio del ridimensionamento del sistema manicomiale precede l’introduzione dei farmaci, anche se di pochi anni- vedi i dati dei Paesi scandinavi già nel secondo dopoguerra- e da questi è stato poi favorito non poco: certo saprai chi fu il primo governatore di uno stato degli USA a tagliare per motivi di bilancio le risorse dei manicomi pubblici. Ciò precede l’opera di Basaglia e francamente certi fenomeni, a mio parere, andrebbero inquadrati in un’ottica non provinciale e, ancor più, non idealistica individuando le determinanti socio-economiche dei mutamenti culturali.
Ma ora il quesito che sorge spontaneo: che cosa c’entra tutto questo con la discussione sul suicidio? Perchè io a questa intendevo partecipare, non ad un dibattito sulla psichiatria che credo non importi un fico secco a chi scrive e legge qui. Tu perchè sei qui? Da alcuni tuoi precedenti post mi pare di capire-correggimi se sbaglio- che non pensi minimamente al suicidio, che sei entusiasta della vita-buon per te, io non posso dire altrettanto-, che non perdi occasione per lunghi monologhi sulla cattiveria della psichiatria-condivido-, e che sembri manifestare quella calda capacità empatica di fronte al dolore di chi qui scrive che ho imparato a riconoscere come segno distintivo di tanti-certo non tutti- psichiatri: proprio quest’ultimo elemento magari condiziona non poco la mediocrità dei risultati ottenuti finora nella cura dei disturbi mentali, non credi? Visto poi che comunicazione e riabilitazione sono i soli metodi efficaci, al di là del contenimento dei sintomi, non finirò mai di stupirmi di quanti intraprendono una difficile professione carenti di requisiti caratteriali fondamentali…..
Allora, se poco ti coinvolge il tema che qui si discute-correggimi se fraintendo il tuo pensiero- debbo pensare che la tua presenza qui sia motivata da uno slancio di generosità altruistica nei confronti di noi povere anime in pena? Se queste sono le tue intenzioni, ti ringrazio ma mi sento in obbligo di farti notare che tale ammirevole generosità non ti è stata richiesta in alcun modo. Direi anzi che alcuni la interpretano quasi come una carenza di sensibilità e tatto da parte tua. Chissa perchè!
Con questo cocludo amichevolmente ogni ulteriore dialogo tra noi.
P.S.: se c’è qualcuno qui interessato all’argomento suicidio da parte mia sono ben lieto di partecipare ed ascoltare.