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Perché alcuni preferiscono rimanere nel loro guscio?

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Lettera pubblicata il 23 Giugno 2015. L'autore ha condiviso 10 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore .
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Categorie: - Riflessioni

La lettera ha ricevuto finora 21 commenti

Pagine: 1 2 3

  1. 11
    rossana -

    Tao,
    sono in linea di massima in accordo con Gimmy e Gingerfox. alle motivazioni caratteriali e al fatto, innegabile, che di solito ci si trovi a proprio agio con chi ci è simile in almeno una buona parte dei tratti che ci caratterizzano, aggiungo che a volte l’eccessiva inclinazione a comunicare potrebbe derivare da insicurezze di fondo, che inducono al bisogno di conquistare, al fine di essere accettati. oppure potrebbe trattarsi di semplice gentilezza d’animo, come quella che spinge a interagire con qualche sconosciuto in ascensore o su un tram…

    forse Nevealsole include fra i rapporti amichevoli quelli che sono soltanto “interscambi d’affari”, privi di profondità affettiva. mentre, a mio avviso, chi è restio ad esporsi può farlo anche perchè si sente talmente sicuro di sé da non sentire la necessità di avere conferme.

    con l’occasione, un particolare grazie a Gimmy, che di recente mi ha dato molto, disinteressatamente…

  2. 12
    Tao -

    @ rossana

    ci sta anche questo penso tuttavia che il bisogno di comunicare sia innato e ritengo che nessuno ne sia escluso a prescindere dalle diverse modalità

    e’ solo attraverso l’altro che io mi posso ri-conoscere e questa e’ una conferma inevitabile

  3. 13
    rossana -

    Tao,
    post 12 – vero: il bisogno di comunicare è innato e solo attraverso il confronto con l’altro ci si può ri-conoscere… però, se dovessi mai rinascere, vorrei tanto che mi fosse concesso di averne bisogno in minor misura… 🙂

  4. 14
    Tao -

    rossana

    però, se dovessi mai rinascere, vorrei tanto che mi fosse concesso di averne bisogno in minor misura… 🙂

    be secondo me qui si ritorna al grado di sensibilità che uno avrebbe a disposizione,se da un lato fa si che ci si espone rendendoci più vulnerabili,dall’altro si colgono delle qualità e una conoscenza che lo renderebbe vivo ed autentico,con tutto cio che di bello può conseguire,qualcosa che al contrario non potrà mai nemmeno lontanamente anche solo essere immaginato.
    dunque siamo disposti a rischiare per essere felici anche nel dolore,il quale a quel punto assumerebbe tutt’altro significato?
    oppure ci accontentiamo di sopravvivere?

  5. 15
    rossana -

    Tao,
    alle ultime due domande del post 14 rispondo, probabilmente non del tutto centrata sul pezzo, che di recente ho riscoperto, con maggior chiarezza, che, volenti o nolenti, equilibrati o squilibrati, maturi o immaturi in questo o in quel settore di vita o di relazione, alla fin fine, al di là di tutti i più o meno saggi ragionamenti, non si può che essere quello che si è, con pregi e difetti inclusi.

    gli esami di coscienza e gli ideali di riferimento servono unicamente per indicare la rotta, che ci sforziamo tutti di seguire, con risultati spesso lontani dagli obiettivi iniziali.

  6. 16
    Golem -

    Ets, accontentarsi di sopravvivere non è vivere. La vita serve a realizzarsi, anche se questo significa vivere da eremiti, se questo rappresenta la nostra natura. “Conosci te stesso ” di ellenica memoria filosofica, significa non prendersi in giro, sforzandosi di onorare almeno la propria dignità, non forzando le condizioni per farcele andare bene accettando compromessi ignobili in nome dell’amore, anche quando questo non c’è dall’altra parte. Apprezzare quello che si ha è giusto, farselo andar bene a tutti i costi mentre si sta “desiderando” altro è una truffa verso di noi. Si può non arrivare al successo sentimentale, (in questo caso) ma bisogna sapere almeno il vero perchè.

  7. 17
    Tao -

    @ Rossana

    Allora secondo te che motivo ci sarebbe di confrontarsi,di scambiarci idee e opinioni anche qui,delle tante lettere che si scrivono e non solo la mia,se poi sappiamo che in fondo possiamo fare ben poco?..e forse manco quello

  8. 18
    rossana -

    Tao,
    per me il confronto è utile soprattutto per conoscersi meglio. poi, forse, molto dipende dall’età in cui ci si confronta: quando ancora cerchi un’identità, forse ti può essere d’aiuto un’opinione, un orientamento… molto meno quando, a seguito di esperienze dirette, già ti sei fatto una “mappa”, adatta a te e al tuo ambiente.

    non escludo che qualche miglioramento, rettifica, si possa sempre fare ma, dopo la maturità, a mio avviso è molto difficile modificare natura, indole e o temperamento.

  9. 19
    Tao -

    vorrei riprendere per un attimo l’argomento,perché mi sarebbe venuta una domanda,o un dubbio che girerei a chi vorra dare la sua risposta/opinione

    ammettendo che non ci sia nessuna malafede ecc..ecc..come sarebbe parso dagli interventi precedenti,e se queste persone rimangono di fatto chiuse in se stesse,pero come non domandarsi a un certo punto;
    ma chi e’ la persona con cui mi sto relazionando?
    come faccio a conoscerla se poi e’ lei stessa a non farsi riconoscere?
    con chi ho a che fare veramente?

    si potrebbe dire che non sarebbe manco necessario chiederselo,e che probabilmente a molti non interessa,oppure più semplicemente non gli viene nemmeno di pensarlo e si andrebbe avanti così..

    ma avrebbe davvero senso chiamarla ancora relazione in questo caso?
    e se in realtà vivessero solo in un loro mondo al quale hanno chiuso tutte le loro porte d’accesso esterno,finendo di credere che quello sia l’unico possibile,un po come farebbe chi guarda nello specchio e non vi sia altra immagine riflessa che non sia solo la loro?
    SE FOSSE così,non sarebbe per loro pure una cosa terribile? e ripeto,se fosse così devono per forza di cose non rendersene conto (al come sarebbero arrivate a tanto,un po lo troverei anche misterioso) ma quanti casi ad esempio,dove a un certo punto “ci si sveglia” per poi dirsi:
    ma allora chi sono stato fino adesso??…stessa cosa potrebbe forse valere nel paragone di una coppia,rimasta insieme per molti anni e all’improvviso,come un fulmine a ciel sereno si accorgono che il loro compagno e’ un perfetto sconosciuto!…

    che ne pensate?

    Grazie

  10. 20
    rossana -

    Tao,
    “ma chi e’ la persona con cui mi sto relazionando?
    come faccio a conoscerla se poi e’ lei stessa a non farsi riconoscere?
    con chi ho a che fare veramente?”

    in una circostanza mi sono posta tutte queste domande, rispondendomi che se il suo temperamento è di tipo chiuso o se le sue esperienze l’hanno indotta ad abbassare le saracinesche, vuoi per difesa che per volontaria indifferenza, non mi restava altro che valutare la persona dagli sguardi, dai gesti e, soprattutto, dai fatti.

    la relazione, se mantenuta, resta consapevolmente unilaterale. per chi sperimenta questa forma di grande chiusura, l’attitudine, a seconda dei casi, può come non può essere motivo di sofferenza. si è quello che si desidera o in alternativa, nella migliore delle ipotesi, quello che si vorrebbe essere (interpretazione che però non sembra calzare più di tanto in questo caso).

    per quanto mi riguarda NON presumo mai di sapere esattamente con chi ho a che fare. solo circostanze, spesso estreme, potrebbero darmi un riscontro abbastanza accurato. mi faccio, è ovvio, un’idea della persona che mi interessa ma non metterei la mano sul fuoco asserendo di conoscerla a fondo, nemmeno avendola vista nascere e avendola seguita nella crescita. quindi, sia che si apra, sia che rimanga isolata in se stessa, la costruzione della sua immagine nella mia mente è sempre e soltanto opera mia… spesso, in mancanza di vere e proprie prove, in alcuni aspetti si resta ignoti a lungo anche a se stessi!

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