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Sulla riforma elettorale

Vi invio due riflessioni sul tema della riforma elettorale partendo dalla mia esperienza di cittadino e professionista della salute mentale per farne quanto riterrete opportuno.

Il sistema politico come corruttore
La domanda cui dar risposta è:“come mai tra i politici c’è un numero così elevato di corrotti?”A questa seguono altre due domande:“perché sembrano non provare vergogna?” ed infine:“E’ possibile fare in modo che tale percentuale si riduca?”
Partiamo da lontano. Coloro che si interessano di politica hanno una motivazione sociale che si sviluppa precocemente. Già durante l’adolescenza mentre gli altri pongono al centro dei loro interessi se stessi e il loro divertimento (sport, l’altro sesso, ecc) i futuri politici si interessano della collettività. E’ chiaro che non sono oggetto di queste riflessioni coloro che sin dall’inizio si avvicinano alla politica come ad una professione qualsiasi o come un metodo rapido per arricchirsi senza lavorare. Sicuramente ormai esistono ma su di loro la domanda del perché siano diventati delinquenti non ha senso: lo erano sin da principio. Occupiamoci degli altri che sono i più. Se dovessimo dividere l’insieme dei giovani in due sottoinsiemi: quello degli ego-centrati e quello dei socio-centrati, quest’ultimo comprenderebbe coloro che si dedicano alla politica insieme ai volontari e più in generale ai cosiddetti “impegnati”(nella chiesa, per la pace, l’ecologia, ecc). Insomma questi ultimi appaiono come eticamente migliori. Attenzione perché ciò avrà, più avanti, importanti ripercussioni. O meglio ciò che lo avrà è soprattutto il fatto che ritengano di essere eticamente migliori, indipendentemente dal fatto che, perlomeno in un periodo della propria vita, lo siano stati effettivamente. Questa supposta superiorità morale infatti genererà due mostri. In primo luogo una sindrome machiavellica secondo cui il fine (aprioristicamente assunto come buono) giustifichi i mezzi. Questo lo si è visto all’opera soprattutto nella prima repubblica finita con tangentopoli, in cui era prassi “rubare per il partito” insomma per una giusta causa. Il secondo mostro è la sindrome del risarcimento per cui se tanto mi sono sacrificato dedicando la mia vita alla politica qualcosa dovrà pure legittimamente spettarmi. Il personale politico sarà dunque selezionato dal sottoinsieme eticamente migliore della gioventù. Come faranno allora i migliori a trasformarsi nella congrega dei peggiori che abbiamo sotto gli occhi? Il fatto è che la pressione selettiva (per dirla in termini darwiniani) a cui è sottoposto il militante politico di base, quale che sia il suo orientamento, per scalare le gerarchie del partito e arrivare a ruoli elettivi importanti non è più quella originaria che aveva selezionato i militanti tra i socio-centrati vale a dire l’interesse per la collettività. Per fare carriera politica servono due altre caratteristiche. In primo luogo un interesse per il potere. l’impegno che la carriera politica richiede a scapito di investimenti in altri domini esistenziali è tollerabile solo se ricompensato dalla soddisfazione della motivazione al potere che in alcuni individui è superiore a tutte le altre. Non cito famosi detti secondo cui “comandare è meglio che…” ma diciamo che in alcuni il sistema motivazionale di rango prevale su tutti gli altri. Questo aspetto i politici lo condividono con alcuni capi mafiosi che sacrificano un intera esistenza, vivendo nascosti come topi in una fogna e senza godere delle enormi ricchezze accumulate pur di conservare il potere. Se per la maggior parte delle persone il potere è inteso come uno strumento per ottenere altre risorse che dunque costituiscono il vero obiettivo finale, per alcuni e tra questi i politici di professione, sono le altre risorse uno strumento per avere il potere che invece rappresenta il bene ultimo.
In secondo luogo per fare carriera politica occorre essere portati al compromesso per allargare la base del consenso. Non voglio dire che in ciò stia una certa tendenza innata verso il clientelismo, ma certo che chi procede intransigente verso gli ideali e non è disposto a mediazioni ed ammorbidimenti o conquista il potere in modo non democratico oppure è difficile che aggreghi maggioranze di consensi. Una trappola evidente su cui riflettere è la seguente. Il politico dovrebbe indicare e guidare il popolo ad un benessere duraturo a lungo termine che riguardi anche le generazioni future talvolta a prezzo di sacrifici nel presente. Ma a votarlo sono singoli individui che badano al loro benessere immediato o che comunque non supera l’orizzonte della propria vita. Questo comporta sempre di più la “sondaggiocrazia” per cui si prendono decisioni in base a ciò che è più gradito alla gente, che è molto diverso da ciò che sarebbe utile alla gente, anche a quella che deve ancora venire ed al pianeta che li ospiterà. Ma torniamo al nostro tema principale. Allora i bravi ragazzi che si sono dedicati alla attività politica avranno successo nello scalare le gerarchie dei partiti in modo direttamente proporzionale alla loro sete di potere e alla loro disponibilità al compromesso.
La seconda domanda riguarda l’assenza di vergogna. Si sperimenta vergogna quando stiamo trasgredendo una norma condivisa dal gruppo per cui rischiamo l’esclusione da esso. Ora il gruppo di riferimento dei politici non è certo quello della gente comune che in effetti li guarda con indignazione, sebbene spesso pericolosamente mista ad invidia, ma quello degli altri politici che non trova affatto disdicevoli tali comportamenti in una collettiva autoassoluzione, tranne nelle dichiarazioni pubbliche. Non solo siamo noi a dire, in uno slancio qualunquista “sono tutti uguali” ma loro per primi sanno di essere tutti uguali e gli interessi comuni e la solidarietà prevalgono sempre. Inoltre per la sindrome del risarcimento credono davvero di non aver fatto alcun male. E poi anche al male ci si abitua con anni di esposizione progressiva a piccoli progressivi abusi di potere. La mia impressione è che quando vengono presi con le mani nel sacco esprimano sorpresa piuttosto che vergogna come a dire “ma davvero non potevo farlo? E’ sempre stato così, chi ha cambiato le regole? Quanto detto sopra sui meccanismi che trasformano giovani che partono ricchi di buone intenzioni in una congrega di malintenzionati(la presunzione di una superiorità morale unita alla sete di potere, la tendenza al compromesso e la progressiva abituazione al male) sono presenti anche in organizzazioni non dichiaratamente politiche (associazioni di volontariato la stessa Chiesa). I mascalzoni sono distribuiti equamente dappertutto. Il problema è delle regole selettive che portano quest’ultimi a far carriera in certe situazioni e dunque a infittirsi al loro vertice. Passo ora ad immaginarmi due possibili parziali soluzioni al problema considerando impossibile che il sistema politico riesca in una autoriforma, sia perché vediamo tutti i giorni che persino piccole modifiche non riescono a passare, sia perché sarebbe persino ingiusto e crudele pretenderlo: come chiedere ai topi di mettere fuori legge il formaggio. Escludo anche di esaminare l’ipotesi rivoluzione armata che pure si fa sempre più attraente solo perché all’indomani della stessa si porrebbe lo stesso problema della selezione del nuovo personale politico. Le mie soluzioni sono tre. In primo luogo dovrebbero essere incandidabili non soltanto quelli condannati in via definitiva ma tutti coloro che abbiano carichi pendenti considerato che per questo motivo non si può neppure fare il concorso di bidello. E’ vero che si è presunti innocenti fino a sentenza definitiva ma ciò non vuol dire che si debba fare i politici. Un politico ha degli obblighi in più non in meno di un normale cittadino. Non è un reato ma non dovrebbe usare il turpiloquio e neppure mettersi le dita nel naso. In secondo luogo la carriera politica dovrebbe essere disincentivata. Non dovrebbero avere dei privilegi ma pagare un prezzo sempre più cospicuo via via che salgono a incarichi di responsabilità. Vedrei bene i tre voti di povertà, castità e obbedienza alla costituzione. Si obietterà che a queste condizioni nessuno accetterebbe più di farlo. Non credo sarebbe una gran perdita e poi non si verificherebbe. Certamente non ci sarebbe la ressa ma di uomini che antepongono il bene comune al proprio interesse personale ce ne sono molti: solo che fino ad oggi stanno negli scantinati o meglio nella sala macchina a far girare il motore che, nonostante tutto, spinge avanti la nostra Italia.

Una possibile Riforma elettorale
Il distacco bidirezionale tra la politica e la cosiddetta “società civile” è diventato tale da mettere in dubbio il concetto di rappresentatività e dunque, in ultima analisi, la stessa democrazia parlamentare. Si fanno strada nuove forme di partecipazione che si attivano in comunità più ristrette e/o su temi specifici. La democrazia diretta attraverso il web ha già mostrato i suoi limiti e dimostrato che il web si presta maggiormente ad un controllo “top down” piuttosto che ad una effettiva partecipazione “bottom up”. Nelle ultime tornate elettorale l’unica crescita indiscussa l’ha avuta l’astensionismo. Ma si tratta di una sconfitta dell’intero sistema. Chi si astiene non vince alcunchè e non ha riconosciuto il suo diritto a non essere rappresentato. Il suo gesto “anticasta” non provoca il minimo fastidio alla stessa “casta”. La riforma elettorale da tutti invocata è inattuabile. Come chiedere un gesto autolesivo a chi da questa legge non ha altro che privilegi? Credo che un forte movimento d’opinione potrebbe portare a piccole modifiche che renderebbero efficace l’astensionismo.
Laddove i politici fossero persone dedite al servizio della collettività non ci sarebbe alcun problema. Il problema è come far in modo che lo siano in caso non lo siano o non lo siano più dopo anni di impegno. Si tratta, allora, di legare il presunto interesse egoistico dei politici a quello dei cittadini. I politici devono trovare conveniente, non solo etico, rispondere ai bisogni dei cittadini ed essere da loro votati. Attualmente il malcontento della gente che si esprime con il non voto è semplicemente letto come un segnale della disaffezione alla politica di cui , in genere, incolpare gli avversari. Di fatto nulla cambia per loro: la torta da spartirsi resta identica. Chi non vota cede il suo diritto agli altri che votano ma non vede rispettata la propria intenzione di non voler nessuno di questa classe politica a rappresentarlo. Immaginiamo un semplice unico aritcolo che dica: “In ogni assemblea elettiva una percentuale di seggi pari alla percentuale di non votanti, e schede nulle non viene assegnata”. Chi non vota ottiene che sia rispettato il suo diritto a non avere nessuno a rappresentarlo. Credo che possa essere considerato mio diritto di elettore mandare nel seggio che mi rappresenta chi voglio io oppure nessuno se non ritengo nessuno in grado di farlo senza che in quest’ultimo caso qualcun altro decida per me utilizzando il vuoto da me lasciato. Questo rendere efficace l’astensionismo credo avrebbe effetti decisivi e riporterebbe i politici ad incontrare la gente. Possibili conseguenze sarebbero:
• assemblee più snelle con risparmio sui costi
• necessità dei politici di andare davvero a cercarsi i voti rappresentando i bisogni dei cittadini
• maggiore selezione del personale politico

Roma 12 novembre 2013

Roberto Lorenzini
psichiatra e psicoterapeuta
via topino 24 00199 Roma
tel/fax 0685830567 cell 3337516923
mail: robelore@libero.it

Lettera pubblicata il 12 Novembre 2013. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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