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Racconto contro diffamazione nei miei confronti

Questa è un racconto per contrastare l’azione diffamatoria che il mio ex datore di lavoro sta facendo nei miei confronti (sta dicendo ai suoi clienti che mi hanno mandato via perché ero cattiva). I nomi e i cognomi sono stati sostituiti con altri di fantasia.
Con questo racconto non voglio dimostrare niente, espongo solo dei fatti. Forse è troppo ricco di considerazioni, d’altronde l’ho scritto anche per me stessa, come sfogo.
Credo che tutto l’astio nei miei confronti, sia iniziato a metà gennaio/09, quando ritardavano a bonificare gli stipendi di dicembre/08. Dopo sette giorni di ritardo, hanno provveduto a pagare lo stipendio di tutti, tranne uno, Gioacchino Mordacchio, il quale era in malattia a causa di un intervento chirurgico per ernia al disco.
Tutti i giorni Gioacchino telefonava in ufficio per sapere se avevano fatto il bonifico (sapendo benissimo che tutti gli altri dipendenti lo avevano ricevuto) e tutte le volte io dovevo riferirgli (su istruzioni di Sonia) di portare pazienza e che appena alla ditta rientravano dei soldi lo avrebbero fatto. Intanto vedevo che Sonia provvedeva a bonificare alcuni fornitori. Allora, non resistendo all’ingiustizia che stava subendo Gioacchino, chiesi a Sonia il motivo per cui Gioacchino non aveva ancora ricevuto il bonifico, e lei rispose: “tanto è in malattia, c… o vuole! Aspetta”. Sicché consigliai a Sonia che forse sarebbe stato meglio pagare prima i dipendenti, poiché lavorano per lei, e dopo saldare i vari fornitori. Volevo anche farle capire che se Gioacchino fosse andato dai sindacati per fare una vertenza, sarebbe stato peggio che pagargli subito lo stipendio.
Inoltre, conoscendo vagamente la situazione economica di Gioacchino (vedo lo stipendio che prende e so che tutti i mesi deve pagare una rata per l’acquisto di un’auto), mi sono permessa di dirle che “portare pazienza” forse per lui significava non poter fare la spesa.
Non l’avessi mai detto!
Rossa come un peperone si arrabbiò moltissimo dicendomi che allora la prossima volta tratterà il mio stipendio per darlo a Gioacchino.
È chiaro che la famiglia Nivetti non si è mai trovata in una situazione economica difficile, altrimenti Sonia avrebbe avuto un minimo di comprensione e non avrebbe mai usato quelle parole così piene di disumanità. Dopotutto Gioacchino pretendeva solo un suo diritto.
Ecco, credo che questo episodio se lo siano legato al dito per poi riversare su di me altra cattiveria (e loro ne hanno in abbondanza, hanno le scorte). Dopo quella circostanza, notai un netto cambiamento di comportamento da parte loro. Rimanevano molto sulle sue e non mi rendevano partecipe agli aspetti dell’attività lavorativa in generale, a differenza di come facevano prima. È venuta a mancare quella sorta di complicità che c’era tra me e la famiglia Nivetti. Mi vedevano ormai come un’infiltrata o un pericolo, una che sta dalla parte dei dipendenti. Forse loro pensavano che io avessi sempre fatto i loro interessi incondizionatamente. Da parte mia, in quella vicenda, feci solo una considerazione fine a se stessa. Purtroppo fatico a tollerare le ingiustizie e non posso fare a meno di esprimere le mie opinioni a riguardo.
Povero Gioacchino, una volta che pioveva a dirotto, venne in ufficio tutto inzuppato, ai piedi aveva degli stivali di gomma, quelli classici per la pioggia per intendersi, quindi neanche calzature antinfortunistiche. Chiese scherzosamente delle scarpe più adatte perché dentro agli stivali stavano nuotando i pesciolini. Dopo qualche mese, credo che fosse fine gennaio, quindi faceva molto freddo, si presentò in ufficio con un sorriso per richiedere un giubbotto, perché quello che indossava era tutto rotto. La cerniera che avrebbe permesso di tenerlo chiuso non funzionava, inoltre tutta la cucitura parallela alla cerniera era aperta e faceva fuoriuscire parte dell’imbottitura. Io presi nota e riferii più tardi a Laura, mamma di Sonia, quanto Gioacchino aveva richiesto. Laura disse sbuffando: – Che stufita con questi vestiti. Ma non può portarseli da casa? -.
Gioacchino è stato assunto per svolgere mansioni in magazzino all’aperto. Credo che sia un ragazzo buono e molto, ma molto umile.
Sonia è una ragazza di 27 anni, sorella di Mauro e figlia di Laura e Ezio. È piccola di statura, occhi azzurri e capelli biondi. Che carina! Peccato che, appena apre bocca, questa immagine celestiale si infrange in un nanosecondo. Il suo tono di voce è molto alto e approssimativamente mascolino. Eternamente incazzata, a volte bestemmia. Quelle rare volte che per telefono deve fare richiesta di un documento, con l’interlocutore assume una voce dal tono gentile e cortese. Ma appena chiude la comunicazione, ritorna in sé e dice – Vedi di muoverti cretino! – Oppure in altre occasioni mi chiede – Ma quello scemo ha richiamato? Per lei sono tutti scemi, cretini, co…. ni. Credo che abbia una specie di fobia per il telefono, infatti è sempre molto agitata quando è costretta a chiamare qualcuno. Mentre per rispondere, per tacito accordo, ha delegato me. Arrogante, presuntuosa, maleducata, irrispettosa di tutti, persino di sua nonna ottantenne. Un giorno la nonna entrò in ufficio con in braccio la figlia di Sonia di 8 mesi, quindi bella pesantina. Chiese a Sonia di tenerla un attimo perché aveva bisogno di andare in bagno (quando scappa, scappa). Sonia era davanti al suo computer e si presumeva che stesse lavorando poiché disse alla nonna di aspettare un attimo. Io sapevo che era in internet a farsi i cavolacci suoi. La nonna rimase in attesa davanti alla scrivania di Sonia per più di 5 minuti effettivi prima di fare, per la seconda volta, la stessa richiesta. In quell’occasione avvertii un velo di crudeltà.
Il papà, Ezio, fondamentalmente è un brav’uomo. Succube e poco rispettato dal resto della famiglia. Solo una volta notai in lui un comportamento alquanto strano. Quando al cancello si presentavano autoveicoli da lui non riconosciuti, si nascondeva nel retro tenendo la porta socchiusa abbastanza da poter vedere chi era.
Mauro, in più occasioni non si è saputo trattenere nei miei confronti. Un giorno in particolare, mi riprese in malo modo perché non avevo visto un cliente che stava aspettando di essere pesato. Gli dissi che realmente non l’avevo visto, ma lui non volle credermi. (malfidente com’è).
Quella notte non sono riuscita a dormire perché pensavo in continuazione al comportamento da vero villano che aveva avuto nei miei riguardi. Quindi il mattino seguente gli dissi che io non ero arrivata all’età di 43 anni per farmi maltrattare da uno che ne ha a malapena 30, di avere più rispetto perché in fondo sono una signora e che non gli ho mai dato tanta confidenza da permettergli di parlarmi in quel modo. Mi rispose che per lui non c’era differenza tra me e l’operaio che lavora fuori in magazzino (risposta da vero cafone). Insomma, alzando come al solito la voce, voleva a tutti costi aver ragione senza riflettere minimamente sul comportamento da somaro che aveva avuto il giorno prima (con tutto il rispetto che ho per le categorie degli asini). Ad un tratto, non pertinente al discorso, mi disse che dovevo stampare le pesate di tutti i formulari nel cassetto. (stampare le pesate vuol dire stampare documenti falsi! Praticamente fregano i clienti sul peso). Ce n’erano davvero tanti, non avendo avuto il tempo di farli, si erano accumulati. Sinceramente odiavo fare quel lavoro, non tanto per la mansione da svolgere, ma per una questione morale, non mi andava di essere complice di un lavoro disonesto.
Il motto dei Nivetti: “frega gli altri prima che gli altri freghino te”.
A marzo/09 sto a casa 6 giorni per malattia (unica malattia in quasi due anni e mezzo). Il 15/03/09 rientro al lavoro e subito, neanche il tempo di appendere la borsa, mi viene comunicato verbalmente da Laura, che dal giorno seguente il mio orario di lavoro si riduce da 7 a 4 ore al giorno (quasi del 50%!! senza avvertire?). Chiamai il commercialista per informarlo che la decisione era unilaterale e senza preavviso. Mi rispose che quando la Sig. ra Laura andò da loro per avviare la pratica, disse che io ero d’accordo.
Laura, mamma di Mauro e Sonia, è una donnina apparentemente tanto gentile. Sempre affannata senza motivo, in ufficio si muove a passetti piccoli, veloci e rumorosi, cosicché tutti possano sentire quanto sta lavorando. Credo sia il tono di voce tenue ad indurre in inganno. In realtà è falsa, avida ed egoista, troppo rapita dal lavoro per insegnare ai suoi figli il giusto rispetto che di solito si dà alle persone, e non solo (ma ormai è troppo tardi per i figli). Qualche tempo fa, in combutta con la figlia Sonia, chiamò l’accalappiacani perché si occupasse dello “smaltimento” di due cani di loro proprietà, ai quali il marito era affezionato. Ignaro di quanto accaduto, al Sig. Ezio fu detto che i cani erano scappati (e tutt’ora ne è convinto). È la tipica mamma che difende i propri figli ad ogni costo, anche quando sa che stanno sbagliando. Iperprotettiva per il figlio maschio, lo serve e riverisce in ogni modo, pensando di far bene. Ma sono proprio queste le mamme che inducono i propri figli al maschilismo e ad avere una visione distorta della “donna/compagna di vita”.
A proposito, quando Mauro va in vacanza, è la mammina che gli prepara la valigia. E quando la mammina è in vacanza, è la sorella che gli fa da mangiare. Speriamo che sappia almeno allacciarsi le scarpe! Una volta, disperata per il figlio che non riusciva a trovare una donna, Laura mi disse che, la casa c’era, l’arredamento pure e che in casa era riuscita a ricavare un piccolo bagno nel quale aveva fatto installare un lavatoio. -Vede, c’è proprio tutto. – mi disse indicando il lavatoio. – Qui, la donna che verrà, laverà le piccole cosine al Mauro. – Allora io le chiesi (tra l’altro facendo una figuraccia) se come “donna” intendesse una tipo colf. E lei stupita mi rispose con tono ovvio -No, una fidanzata. –
No comment.
Mi chiedo, ma chi se lo piglia uno così? Irascibile, urla sempre, bestemmia e ride delle sue battute idiote. Non ho mai sentito la mamma riprendere i figli quando bestemmiano (io non sono religiosa, ma la bestemmia è una cosa che mi fa sobbalzare).
Mauro e Sonia dovrebbero farsi quotidianamente delle iniezioni di umiltà. È un male che non abbiano mai lavorato alle dipendenze, gli sarebbe servito tantissimo, non solo nel lavoro, ma soprattutto nella vita.
Il 28/07/09 in maniera poco, ma poco cortese, Sonia e Laura mi fanno notare che svolgo il mio lavoro in modo troppo lento e, da Sonia, di stare troppo tempo al telefono, tra l’altro accusandomi falsamente di effettuare telefonate personali (ma non avevano delegato me a rispondere al telefono? Sonia non prendeva mai le chiamate, anche se io ero a cinque metri e lei a due centimetri dal telefono).
Di risposta dissi loro che forse pretendevano che svolgessi la stessa mole di lavoro come quando lavoravo a 7 ore. Inoltre non lasciai passare inosservata l’insinuazione sulle telefonate.
Poi a casa iniziai a riflettere. Pensai che avessero potuto supporre, considerando la loro mente contorta, che il rallentamento nell’esecuzione dei lavori sia una ripicca nei loro confronti per avermi ridotto l’orario (comunque non è assolutamente nel mio stile fare una cosa simile). Veramente non riuscivano a capire che effettivamente era il tempo materiale che mancava?
Con il passare dei giorni mi rendevo sempre più conto che la loro intenzione era quella di farmi svolgere tutte le mansioni riguardanti l’ufficio, comprese quelle che avrebbe dovuto fare Sonia. In effetti lei si è sempre occupata delle registrazioni di carico/scarico, fin dall’inizio, ma adesso esigeva che le facessi io (ma a lei cosa rimaneva da fare?). Entrava in ufficio per 15/30 minuti solo per connettersi ad internet e farsi i cavoli suoi all’insaputa dei suoi familiari. Faceva finta di lavorare, ma a sentirla parlare lavorava solo lei. Infatti, appena suo fratello Mauro entrava in ufficio, solo due secondi come suo solito, lei chiudeva subito la pagina web, scattava in piedi e si faceva vedere indaffarata nel lavoro. (Che schifo! Ma come si fa? Si fregano tra di loro!)
Insomma, ero sobbarcata di lavoro, ma tutto sommato riuscivo a gestirmi abbastanza bene, tranne quando mi facevano d’improvviso, richieste alle quali non potevo corrispondere nell’immediatezza, in quanto tali richieste necessitavano di un congruo tempo per elaborarle, ma loro le pretendevano subito, non avevano intenzione di aspettare neanche 5 minuti. Mi sentivo continuamente sotto pressione.
I Nivetti, tranne il padre, sono tutti molto nervosi, agiscono d’impulso e pensano che chi lavora veloce stia lavorando davvero.
Ogni volta che mi davano un incarico, era da fare non subito, ma subitissimo. Tutto era urgente. Sulla mia scrivania avevo sempre 3 o 4 lavori da fare contemporaneamente. La cosa che mi faceva ridere (per non piangere) era che, mentre cercavo di portare a termine un lavoro urgente (uno vale l’altro, tanto erano tutti urgenti), mi chiedevano se un altro era stato fatto. Il bello è che loro erano presenti in ufficio quando facevo quei lavori, quindi vedevano quello che stavo facendo. Possibile che non se ne rendessero conto? Se sto facendo una cosa, non ne posso fare un’altra.
Pensavo di essere più forte, ma il mio fisico smentiva quello che credevo. Ho iniziato ad avere delle desquamazioni all’interno delle guance (il dentista mi ha detto che si tratta di una specie di candida, conseguenza dovuta allo stress), avevo frequenti dolori intestinali e coliche, per non parlare di improvvise tachicardie e tremori alle mani, inoltre di notte avevo un sonno irregolare. Capivo che c’era qualcosa che non andava.
Così, durante le ferie, dopo notti tormentate, decido di rassegnare le dimissioni, senza aver trovato un altro posto di lavoro.
Inizialmente volevo darle per giusta causa e motivo, ma poi decido di non intentare la causa.
Il 1° settembre/09 rientro al lavoro e consegno a Sonia la lettera con preavviso di 30 giorni.
A questo proposito ho notato un atteggiamento molto strano da parte di tutta la famiglia: né nelle ore a seguire, né il giorno dopo e né gli altri giorni a venire, fino ad oggi, nessuno della famiglia, benché ne fossero a conoscenza, ha menzionato il fatto che avessi dato le dimissioni. Sembrava che facessero fatica anche solo a salutarmi. Solo il papà, un giorno mi chiese il motivo. Risposi che ero stanca di essere trattata come una deficiente quando sapevo benissimo di non esserlo. Inoltre gli dissi che aveva dei figli veramente maleducati, e in breve alcune cose. Presto però mi accorgo che il papà non sapeva neanche che la figlia mi aveva falsamente accusato (tra di loro si raccontano solo quello che vogliono farsi sapere).
A metà settembre circa, in una discussione nata da un’osservazione futile e infantile fattami da Sonia, si permette di dire che io “dico ca… te”.
Il 22/09/09, Sonia si altera e mi ritiene responsabile del fatto che non sono ancora state fatte le quotazioni del materiale per un cliente (notare che le quotazioni non le faccio io ma Mauro).
Aggressiva come al solito, Sonia persisteva sul discorso. Non sopportandola davvero più, soprattutto se pensavo che io a 18 anni ho iniziato a lavorare mentre lei andava ancora all’asilo, dissi di farla finita e di non rompere, ancora qualche giorno e poi sarei andata via. Molto arrabbiata mi disse di moderare le parole (riferito al “rompere”). Ebbene, le feci notare immediatamente che lei qualche giorno prima non si era risparmiata nel proferire che io “dico ca… te” e che quindi come si è permessa lei, mi sono permessa io (forse crede che il fatto di darmi uno stipendio, le dà il diritto anche di dirmi qualunque cosa e in qualunque modo). A tanta arroganza da parte sua le dissi che lei era una piccola presuntuosa maleducata (niente di più azzeccato, in tre parole ho fatto il sunto del suo essere). Dopo 2 minuti entra in ufficio Mauro e mi dice, con tono di voce abbastanza sostenuto, che gli ho rotto i co…. ni (motivo?). A tono gli ricordo che sono io ad aver dato dato le dimissioni e non è lui che mi sta mandando via. Aggiungo inoltre che ho sempre lavorato con onestà e diligenza (e questo loro lo sanno benissimo) tuttavia hanno sempre trovato qualcosa da ridire, e che fino a prova contraria, i disonesti sono loro (rubano sulle pesate-indicano un peso falso sul formulario). Punto sul vivo, Mauro furibondo mi riprende dicendomi di darmi una calmata, ma io dico che quello che si deve calmare è lui. Urlava in maniera tale che la voce gli usciva distorta, con frequenze sgradevoli all’udito. Infine mi dice che non mi devo permettere di alzare la voce (invece lui sì) perché quella non è casa mia (è vero, quella non è casa mia. Peccato che in quella “casa/ufficio” io ho l’obbligo di recarmi tutti i giorni).
Impossibile far valere le mie ragioni.
In preda ad un malore, prendo la mia borsa ed abbandono il luogo di lavoro alle 12, 05 e sulla porta Sonia mi dice di andare fuori dai co…. ni e che sono una handicappata mentale.
Ci tengo a precisare che io non mi sono MAI rivolta a loro con atteggiamenti sgarbati o usando parole indecenti.
Mi chiedo come hanno potuto assumere una handicappata mentale. Bho!
Durante il periodo di assenza di Sonia per maternità, durato circa un paio di mesi da novembre/08, l’handicappata mentale è riuscita a mandare avanti da sola un ufficio. Tutto era in ordine, sia le registrazioni carico/scarico quanto la contabilità e tutto filava liscio. Ma poi è rientrata la strega…
I Nivetti hanno la memoria corta, oppure ricordano solo quello che vogliono ricordare.
Non avrei mai immaginato di lasciare l’ufficio in quel modo, dopotutto mi hanno proprio istigato.
Anche il loro commercialista l’ha pensato, difatti al telefono mi ha detto che sembrava l’avessero fatto apposta.
Sono uscita da quell’ufficio a testa alta e con la coscienza pulita. Non credo che si possa dire altrettanto di loro, sempre che abbiano una coscienza.
Così, il giorno stesso mi reco dal medico di famiglia e gli spiego tutto. Mi prescrive una visita neurologica per sindrome depressiva reattiva e dei medicinali per lo stress accompagnati da un periodo di riposo di almeno un mese.
Un sindacalista invece, voleva subito fissarmi un appuntamento con un avvocato per impugnare le dimissioni. Ma sono stata costretta a declinare la sua proposta in quanto sono sprovvista di testimoni, e gli unici sono solo i Nivetti.
Una cosa è certa, non ho nessuna intenzione di ammalarmi per colpa dei Nivetti!!!!
Ora devo solo pensare a recuperare la mia serenità.
Mi sono già sentita meglio, quando ho saputo che per tutto il periodo di malattia, che va oltre la data di cessazione, la ditta Nivetti paga!!
Ricordo i primi giorni di lavoro, eravamo nella vecchia sede in un ufficio, ehm, mi correggo, in una topaia e non esagero perché i topi c’erano davvero! L’ufficio era, oltre che molto sporco, piccolino e abbastanza disorganizzato, specialmente l’archivio, con raccoglitori ad anelli strapieni oltre ogni immaginazione. Mai visto roba del genere in vent’anni di lavoro. I fogli all’interno straboccavano dai raccoglitori perché i buchi li facevano a caso, senza considerare la metà del foglio. Sul dorso di alcuni raccoglitori venivano riportati indicazioni incomplete, quindi non c’era la certezza di cosa potessero contenere. Così quando dovevo cercare qualche documento, aprivo gli armadi e… speravo. Erano disposti senza una logica, tutti colorati, , usurati e senza custodia. Nella speranza di tirare fuori quello giusto, dovevo fare attenzione a non rivoltarmi le unghie da quanto erano incastrati e pesanti. Una volta stavo cercando un documento particolare, sul dorso c’era scritto qualcosa che poteva essere attinente a quello che mi occorreva, ma quando l’ho aperto, oltre ad altri documenti, ho trovato delle istruzioni per il funzionamento di qualche elettrodomestico, non ricordo, forse un fornetto a microonde.
Sul coperchio della fotocopiatrice, come sul fax, c’era perennemente qualcosa di appoggiato, tipo pagine gialle, stradario, riviste, risma carta fotocopie, ecc. , in modo che quando dovevo fare una fotocopia o mandare un fax, dovevo spostare continuamente la zavorra. Le scrivanie erano tappezzate da post-it e rimanevano lì anche quando non servivano più. Non c’era mai un penna al suo posto. Tutte le mattine, prima di iniziare a lavorare, dovevo andare alla ricerca di qualche penna che funzionasse. Il portapenne era pieno zeppo di penne che non scrivevano. Mi chiedevo per quale motivo le volessero tenere a tutti costi. Delle volte ne buttavo qualcuna nel cestino, ma il giorno seguente le ritrovavo lì al suo posto, nel portapenne. Per non parlare degli involucri di brioche o varie merendine consumate a metà che Mauro seminava per tutto l’ufficio. Si vede che per lui era troppo faticoso gettarli nel cestino, tanto c’era la mamma che lo faceva per lui. Mi sembra inutile dire quanto fossero disordinati.
È stato sorprendente sapere che Sonia era diplomata. Si esprime rozzamente senza concludere le frasi, inserendo intercalari volgari. Ma soprattutto mi meravigliai a leggere le lettere salvate nel PC, che usava come modello da inviare ai vari clienti. Lettere di sollecito, comunicazione prezzi, offerte, ecc. , erano molto stringate e senza un minimo cenno di cortesia. Non aveva metodo nelle ricerche delle fatture. Anziché prendere la bozza del registro IVA (rosicchiato ai bordi dai topi) in modo da risalire alla fattura tramite il numero di protocollo, le sfogliava tutte, una ad una. E non erano poche!
Per i clienti e i fornitori, usava ancora le schedine, e fin qui niente di male. Peccato che erano tutte insieme in uno schedario. In seguito ho capito il motivo: non sapeva distinguere un cliente da un fornitore!! Inoltre rimasi allibita nel vedere come calcolava le ore dei dipendenti. Faceva la somma con la calcolatrice. Ma la calcolatrice calcola in base dieci e non sessanta! Quindi, prima che arrivassi io, ha sempre sbagliato?
Per carità, ognuno usa la propria intelligenza come meglio crede.
Io non so tante cose, ma dopo più di vent’anni in ufficio, credo di aver maturato abbastanza esperienza. Col passare del tempo, un po’ alla volta cercai con l’esempio di dare un’altra impronta a quell’ufficio. Risistemai i raccoglitori, riformulai le lettere con termini un po’ forbiti, preparai alcuni prestampati al computer da utilizzare in base elle esigenze del momento, pretesi che almeno la mia scrivania rimanesse come l’avevo lasciata il giorno prima, e cioè in ordine.
Ero continuamente disturbata, oltre che dal telefono, dai clienti che venivano di continuo. Dovevo interrompere il lavoro, alzarmi e stampare il peso. Ritornavo al lavoro che stavo facendo, il tempo di capire dov’ero rimasta, ma subito mi dovevo rialzare per ripesare. Poi quella psico-nana di Sonia mi deconcentrava costantemente per lavori che stava portando a termine lei, come richieste di invio fax, telefonate per suo conto (e già qui avrei dovuto accorgermi di qualcosina che non andava), prendimi questo e passami quello. Mi sorprendeva la modalità con cui chiedeva le cose. Ad esempio – fammi il formulario per… , fammi una lettera per… , prendimi… – Era proprio esplicito che il “favore” era per lei e non a favore dell’andamento del lavoro. Praticamente mi usava come un’attrezzatura d’ufficio. Una cosa che proprio non riuscivo a sopportare, erano le continue bugie che dovevo dire al posto suo quando i fornitori chiamavano per sollecitare un pagamento, oppure quando si faceva negare al telefono, ovvero quando prometteva di richiamare ma non lo faceva mai (molto codarda nell’affrontare situazioni particolari). E poi l’handicappata mentale sarei io?
Comunque la disorganizzazione era dovuta al fatto che nessuno aveva un ruolo preciso. Se ognuno di noi lo avesse avuto, sicuramente il lavoro si sarebbe svolto in modo scorrevole e non in maniera confusionale.
Mi viene in mente un episodio di qualche anno fa. Camminando nel magazzino tra i rottami, un dipendente inavvertitamente mise il piede su un pezzo di legno che gli si conficcò nel polpaccio per diversi centimetri. Anziché mandarlo al pronto soccorso, glielo tolse Mauro per non avviare la pratica d’infortunio.
A mio parere, Mauro ha fatto un gesto molto grave, poiché non ha considerato la pericolosità nell’estrarre un pezzo di legno. Avrebbe potuto lasciare nella carne alcune schegge che avrebbero sicuramente causato un’infezione.
Questo dipendente diede le dimissioni, non solo per l’accaduto, ma soprattutto per le continue vessazioni e ingiurie che ha dovuto subire nel corso della sua vita lavorativa nella ditta Nivetti da parte di Mauro.
A tal proposito ricordo che Laura, cercando supporto, mi disse: – Come mai se ne va?. Non lo trattavamo mica male, o no? – Io non risposi.
Laura, la donnina tanto gentile, a seguito di un infortunio abbastanza grave di un altro dipendente, il quale ritornò al lavoro dopo un lungo periodo di malattia, infastidita dal fatto, disse proprio queste parole col suo solito tono lieve : – Sarebbe da lasciare a casa. –
CONCLUSIONI
Nel limite delle mie possibilità, mi ingegnavo a trovare soluzioni migliori per svolgere lo stesso tipo di lavoro in modo semplice e senza fatica, risparmiando tempo. Era ben visibile il fastidio che provava Sonia quando proponevo un’innovazione. Di certo non lo facevo per lei, ma per me stessa, per lavorare in modo fluido. Come ha potuto ritenermi una rivale se stavo lavorando per lei? Non pretendevo di essere ringraziata, anzi mi avrebbe messo a disagio, però il trattamento imperdonabile che mi hanno riservato non credo proprio di essermelo meritato.
Dal momento che ho ancora un po’ di dignità, non potevo permettere che il loro atteggiamento incomprensibile avesse seguito sulla mia individualità.
Credo che il rispetto sia fondamentale per ogni cosa. Se si applicano i suoi principi, tutto il resto vien da sé.
Laura, Mauro e Sonia sono persone incapaci di provare comprensione, per cui non credo si possano chiamare “persone”.
Chi è sempre adirato e in momenti di difficoltà alza la voce esprimendosi con parole indecenti, potrebbe sembrare avere un carattere forte, in realtà è molto insicuro e fragile. Il prevaricare su un’altra persona con parole ed atteggiamenti sgarbati, è l’unico modo che conoscono per sentirsi grandi. Concretamente sono solo dei poverini e in loro abbonda la miseria mentale.
Comportamenti del genere sono frutto dell’ignoranza. Non si informano e non si interessano di niente, tranne di tutto ciò che è inerente i soldi. Non conoscono minimamente i diritti dei dipendenti. Non meritano di avere persone che collaborino con loro.
Non sopportano che un dipendente vada via di propria iniziativa, devono essere loro a licenziare. Ho sentito cosa dicono in questo caso: – Via, via, fuori dai co…. ni. Non capiva un c… o. –
Nel corso della mia vita ho fatto tanti errori, ma il mio obiettivo è sempre stato quello di correggerli. Quando sarò anziana, e manca poco, mi auguro di diventare abbastanza saggia, perché è così che dovrebbero essere tutti gli attempati, saggi!
Sarebbe inutile far capire loro queste cose. Come disse un uomo famosissimo, citato sul libro più venduto al mondo: – Non date perle ai porci -.
Ritengo che anche le esperienze negative servano a qualcosa. Tuttavia non avrei mai immaginato di andare a lavorare in un covo di serpi!

Le mie figlie, dopo aver letto il racconto:
Non possono permettersi di trattare la mia mamma in questo modo!! Non si vedono minimamente di quanto sono insettini minuscoli e schifosi rispetto alla persona d’oro che è mia mamma u_u
Io mi dico… povera la figlia di Sonia… Che madre le è toccata.
Da parte della figlia della cosiddetta handicappata mentale. 11 anni

Concordo.
L’altra figlia dell’handicappata mentale altrettantemente handicappata =|16 anni

Lettera pubblicata il 20 Ottobre 2009. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Categorie: - Lavoro

La lettera ha ricevuto finora 7 commenti

  1. 1
    lipsia -

    Ciao, ho letto il tuo scritto nel quale mi rifletto in pieno. Troppe similitudini con il mio licenziamento, anche se a me hanno dato il benservito motivando il licenziamento a causa della crisi.
    Vorrei tanto sapere come è stato motivato il mio licenziamento ai clienti e fornitori con cui avevo un rapporto molto stretto, capirai dopo 11 anni.
    La cosa non mi è ancora andata giù, e nonostante i miei sforzi per andare avanti il mio lavoro mi manca molto e sono molte le volte in cui cado in depressione, perdo le certezze che sto faticosamente riacquistando. Soprattutto di notte, mi sveglio pensando di avere fatto un brutto sogno, ma invece la realtà è lì.
    Mi sono fatta mille domande a cui non so dare risposta e mi viene sempre il magone, neanche la rabbia. Anche io come te, penso di avere fatto gli interessi della mia azienda incondizionatamente.
    Ho sempre lavorato anche 10 ore al giorno senza mai avere un’ ora di straordinario.
    Ma forse, se mi fossi fatta valere di più, se non avessi accettato tutto questo passivamente, magari avrei guadagnato più rispetto e oggi forse avrei ancora il mio lavoro.
    Ti faccio tanti auguri, e ti invidio perchè hai almeno le tue bambine a cui dedicare il tuo tempo.

  2. 2
    Viva Violetta! -

    Gentile Violetta, questa lettera-racconto io l’ho amata e la ringrazio. Siccome, per i tanti miei problemi avuti a causa del lavoro, sto progettando un qualcosa su internet che non le posso spiegare qui ora. Gradirei entrare in contatto con lei, per poterle spiegare meglio la cosa.

  3. 3
    Violetta -

    Risposta per “Viva Violetta”.
    Sono curiosa di sapere cosa bolle in pentola. Come facciamo ad entrare in contatto? Non credo sia buona idea darLe la mia e-mail in questa finestra per commenti.

  4. 4
    Viva Violetta! -

    Ciao Violetta!
    Io intenderei raccogliere tante storie per creare maggiore attenzione (e possibilmente un dibattito pubblico) intorno ai problemi di lavoro (mobbing, disoccupazione, licenziamenti forzati ecc.), ancora sono all’inizio e questo sarebbe una parte di un progetto più ampio, che avrà anche e soprattutto argomenti di arte e letteratura.
    Per ovvie ragioni è meglio che tu non pubblichi la tua mail che possono conoscere anche i tuoi ex datori di lavoro, quindi ti lascio la mia. Io comunque sono una donna tua coetanea. Scrivimi al seguente indirizzo:

    oscar[punto]redazione[chiocciola]gmail.com

    e se conosci altri/altre che hanno una storia da raccontare, di’ loro di inviarmela. Aspetto allora tue notizie e ti ringrazio anticipatamente!

  5. 5
    silvana_1980_contro_i_capi_bastardi -

    sai a queste persone bisogna mettergliela in quel posto con il silenziatore
    nel senso che…non bisogna preannunciare niente
    ci si prende mezza giornata di permesso, si fa un bel reportage ai sindacati e a questo punto magari si venivi licenziata tu e l’altro povero in malattia
    però saltava in aria la ditta come ridere…uhu! oppure, come nel mio caso con la ditta vecchia, ricevevano una semplice telefonata dal sindacato competente e magicamente i soldi che non c’erano prima erano pronti in assegno il giorno dopo
    chi semina vento, raccoglie tempesta

  6. 6
    Violetta -

    Volevo ringraziare Lipsia per la solidarietà e contraccambiare gli auguri.
    Silvana_1980_contro_i_capi_bastardi, grazie per il sostegno. Hai ragione quando dici: chi semina vento, raccoglie tempesta. Sono convinta che il male che si fa, prima o poi torna indietro.
    Infatti ho già dei progetti, la vendetta è un piatto che si consuma freddo!
    La legura, sensa cur la sa ciapa a tuti i ur (la lepre, senza correre la si prende a tutte le ore) eh eh!

  7. 7
    ruggi -

    Buonasera Ragazzi, confermo tutto quello che avete scritto e Ora che questa gente paghi quando anno bisogno di te tutto va bene e poi Via sei da buttare, ma tutto questo lo dobbiamo agli exstra….. che lavorano con due soldi io sto vivendo una cosa del genere ma mi sono messo in mano a 1 avvocato.cavoli suoi……………cia ruggi

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