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Il loop comunicativo nelle relazioni amorose

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Lettera pubblicata il 29 Settembre 2016. L'autore ha condiviso 16 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore .
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La lettera ha ricevuto finora 115 commenti

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  1. 21
    Suzanne -

    Kid, ogni esperienza può essere utile agli altri, per similitudine oppure opposizione!
    In effetti i matrimoni sono davvero una ghiotta occasione per farsi un’idea della desolazione emotiva che caratterizza la nostra società. Però Golem vorrei chiederti una cosa: perché, secondo te, le coppie un tempo resistevano più a lungo? Non si illudevano forse? Io credo che il grosso problema, sia in amore che in altri ambiti (come quello lavorativo),sia aver alzato troppo le nostre aspettative. Sinceramente non credo che mia nonna si sia mai posta il problema di cosa significhi comunicare profondamente col proprio compagno, sentirsi capita ed accolta nella propria unicità. Eppure, malgrado o proprio grazie a questo, è rimasta una vita con mio nonno. Intendo dire che più ci si aspetta dalla propria relazione, più ovviamente sarà facile rimanere delusi. Ma allora la soluzione è accontentarsi?

  2. 22
    Golem -

    Suzanne. “Golem vorrei chiederti una cosa: perché, secondo te, le coppie un tempo resistevano più a lungo? Non si illudevano forse?”
    Meno Suzanne, perchè le aspettative erano “essenziali”, non peggiori, ma minime. Per un uomo medio un lavoro che gli consentisse un tenore di vita “sicuro “, per una donna un uomo che le assicurasse quel tenore e una famiglia. Dagli anni 70/80 quelle aspettative sono lentamente cambiate in qualitá e “dimensioni”, a causa del “bombardamento” mediatico che la diffusione dei mezzi di comunicazione ha amplificato oltremodo, principalmente per ragioni legate al “consumo”. Si è creato così uno spostamento degli “obiettivi” soggettivi verso paradigmi secolarizzati (direbbe la Rossye) rispetto a quelli della Sacra Famiglia,dalla quale, specie la nostra cultura italiana, attingeva per indicare i valori a cui rifersi per la propria realizzazione sentimentale, diciamo. Non credo che le nuove coppie mettano più sopra la testata del letto la Madonna col bambino. Tua nonna di sicuro.
    Ma non illudiamoci che non esistessero anche nei bei tempi che furono le “fughe” dalla realtá. Erano più ingenue ma non meno frequenti, solo perchè non se ne parlava come facciamo noi. Senza contare che le relazioni duravano di più anche “obbligatoriamente”, perchè spesso non appariva con “evidenza” il risultato dell’illusione.
    Accontentarsi non é forse il termine esatto, sarebbe meglio dire “accettare”.
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  3. 23
    Markus -

    Suzanne, io penso semplicemente che non si conosca bene se stessi, sapere cosa si vuole veramente.
    Faccio un esempio banalissimo: meravigliarsi di una donna o un uomo che va a ballare tutti i sabati se a noi non è mai piaciuto ballare lo reputo un mentire a noi stessi. Prima o poi ci “romperemo le scatole” di colui/colei che dedica il sabato al ballo.
    Ma credo sia scontato. Ci vuole una scienza per capire questo ?

    Suzanne, per quanto riguarda i tuoi nonni, posso dirti che vivevano in un’epoca dove non si cercavano troppe cose. Lo scopo era mandare avanti la famiglia e crescere i figli. Si accettavano i pregi e i difetti dell’altro e la vita era più semplice. Non era tutto rose e fiori ma non tutti gli uomini tornavano la sera ubriachi, picchiavano le mogli e le tradivano. Mio nonno ad esempio non lo ha mai fatto. Così come non credo il tuo.
    Oggi invece si picchia e si uccide. Qualcosa non torna nella società odierna non credi ?

  4. 24
    Golem -

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    Anzi meglio: apprezzare quello che si ha. Ma questo sottintende una conoscenza di sé e dell’altro abbastanza rara a verificarsi, proprio perché lo scopo principale del nostro sistema cultural-socio-economico é quello del “perenne insoddisfazione”. Ci deve essere sempre qualcosa di “meglio” da desiderare, principalmente di carattere materiale e comparativo. Come “l’erba” e il suo colore.
    In ogni caso, paradossalmente ritengo che nonostante il bombardamento mediatico di cui accennavo, chi oggi riesce a “separarsi” dal condizionamento subliminale dei modelli mediatici abbia molte più possibilitá di realizzarsi di quanto non accadesse ai nostri nonni, che in fondo “recitavano” a loro volta la poesia dell’amore seguendo, da brave persone, il copione benedetto dal prete che li univa in matrimonio. Era un comodo condizionamento anche quello no? Oggi chi ha un po ‘di vera cultura può “salvarsi” pagando però spesso il prezzo dell’isolamento. Che non è affatto un male quando si arriva a bastare a sé stessi.
    Il fatto é che l’uomo si dibatte da quando é presente sulla Terra per capire che cosa ci faccia e quale sia la ragione ultima di questo “passaggio”, ragione che probabilmente non c’é nei termini che spesso immaginiamo o che desidereremmo fosse, e cerchiamo ogni appiglio per dare un’immagine ideale a ogni nostra azione perché lasci un “segno” di quel passaggio. Succede, ma lo sarà solo nella memoria dei vivi, di chi resta, e spesso non in maniera uniforme per tutti.
    In fondo la vita come la morte è solo immaginazione di “possibilità” tra ciò che é e ciò che non è, e la verità ontologica serve solo segnare la differenza tra questi due momenti.

  5. 25
    maria grazia -

    Suzanne, tu accetteresti di stare tutta la vita con un uomo per il quale ti devi annullare completamente, come facevano le nostre mamme e nonne? La mia è solo una domanda.. ciao.

  6. 26
    Suzanne -

    Golem, magari andrò un poco fuori tema ma credo sia tutto collegato e poi qui le digressioni spopolano 🙂 Mi è capitato parecchie volte di portare avanti discussioni infinite con amici e anche con il mio precedente compagno sul significato del lavoro. Io sono cresciuta ritenendo che esso fosse innanzi tutto il modo inevitabile per poter vivere e permetterci tutta una serie di altre attività che potremmo chiamare hobby, passatempo… Partendo da tale assunto, è assolutamente necessario trovare il miglior compromesso REALIZZABILE tra le nostre inclinazioni, le nostre effettive capacità e le condizioni ambientali. Molto spesso mi sono invece sentita rispondere che il lavoro deve permettere di realizzarci, deve farci sentire soddisfatti e fieri di noi stessi,deve permetterci di migliorarci continuamente ecc.. Ecco, tutte queste sovrastrutture non sono mai esistite nei discorsi dei singoli individui, primadi questa nostra epoca. Certo, sono state portate avanti battaglie collettive per migliorare le condizioni dei lavoratori, per superare una certa visione del lavoro che rendeva l’uomo poco più che un ingranaggio. Mi domando cosa penserebbe Marx di questi discorsi sì illusori e difficili da ricondurre alla realtà. Questo per dire che siamo insoddisfatti del nostro mestiere perché non ci offre tutto questo magnifico pacchetto di buone ed appaganti sensazioni, così come spesso non siamo soddisfatti dei nostri rapporti perché non riusciamo a mantenerli all’altezza dei nostri sogni ormai fuori controllo.
    Maria Grazia, mia nonna è stata la vera, indiscussa capo famiglia durante tutti gli anni del suo matrimonio. Ha lasciato a suo marito l’illusoria sensazione di avere voce in capitolo solo perché faceva la voce grossa, ma le decisioni importanti, finanziarie e non, le ha sempre prese lei. Oggi ha novant’anni e si passa l’influenza con minore fatica rispetto alla nipote 🙂 Per me è un grande esempio di come non sia necessario mostrarsi forti quando lo si è davvero…

  7. 27
    Suzanne -

    … Credo anche che non sia un’eccezione per le donne della sua età; probabilmente avevano la situazione in pugno molto più di quanto succeda a noi giovani donne.
    Markus, tu dai spunto per aprire un altro dibattito interessante ma che esula al momento da questo discorso. Non saprei, la semplicità è auspicabile a mio avviso quando sinonimo di “essenzialità”, non di “pochezza”. Credo che nelle coppie di una volta ci fosse anche tanto vuoto : di intenti, di sentimenti e di reciprocità. La loro fortuna è che non hanno avuto modo di accorgersi di quel vuoto, o di potergli dare un nome.

  8. 28
    Golem -

    Suzanne, la morale e l’etica del lavoro, inteso come lo intendiamo noi, é praticamente iniziata nell’alto Medioevo all’interno delle abbazie cistercensi, che sono state “l’incubatrice” della nostra cultura occidentale più recente dopo la caduta dell’Impero Romano e le invasioni barbariche. La sacralizzazione dell “Ora et Labora”, assieme molte altre “novità”, anche di natura pratica, che “usiamo” ancora oggi sono nate in quei luoghi. Questo intanto per sfayare il luogo comune che il Medioevo sia stato un periodo buio. È stato invece un periodo di “sperimentazione”, di un nuovo modello di società, che si sarebbe diffuso attaverso il crisma religioso a quella civile intorno all’anno Mille e dopo l’apertura dei Comuni, per consolidarsi verso il XXIII secolo. In quel periodo il “lavoro” ha assunto grosso modo il senso che ha anche oggi, e la formazione delle “Corporazioni” ne ha sancito il ruolo sociale e la collocazione per censo all’interno della comunitá. Con tutto quello che ne consegue in termini di prestigio e privilegi.
    Il ruolo della Chiesa è sempre stato ambiguo come sappiamo, per esempio condannava l’arricchimento fine a se stesso e l’uso del denaro a scopo speculativo, ma in realtá, con l’ipocrisia che ne ha spesso caratterizzato le azioni, lasciava che questo aspetto della nascente economia capitalista che riguardava “lo sterco del Diavolo”, fosse gestito da non cattolici. Questo é uno dei motivi per cui gli Ebrei sono diventati così bravi in quel “ramo” particolare delle relazioni economiche in tutto il mondo, non solo occidentale.
    Con Calvino, e in tutto l’ambito protestante, il lavoro ha assunto anche il peso di realizzazione personaleoralnente accettata, e l’arricchimento non é più visto come segno di aviditá ma come risultato dell’applicazione di una virtù come quella sancita dal calvinismo, che volenti o nolenti è quello che conduce le logiche morali ancora oggi e ne decide gli sviluppi.
    >>>

  9. 29
    Markus -

    Suzanne nel post n. 26 hai veramente colto nel segno su molte cose.
    Tua nonna che era una “vera donna” come tante ne ho conosciute di quell’epoca. Erano il vero centro della famiglia. Donne davvero capaci e in grado davvero di trascinare l’uomo.
    Totalmente d’accordo anche sul discorso del lavoro : lavorare per vivere e non vivere per lavorare.
    Oggi si é capovolta quella situazione.
    Le battaglie portate avanti anni fa sono state distrutte dalla società di oggi che vuole si l’uomo lavoratore alla stregua di un macchinario. Basta leggere la legge Biagi per capire questo.
    Per quanto riguarda il fatto che ci fosse tanto vuoto non lo so. Forse c’era molta semplicità per cui, come sostieni tu, non ci si é accorti che ci fosse questo “vuoto”. Sempre ammesso che ci fosse.
    Credo invece che ci fossero solo molte cose davvero importanti da fare per tirare su una famiglia senza l’aiuto di tecnologie e distrazioni varie.

  10. 30
    maria grazia -

    Suzanne, io penso semplicemente questo: quando in una coppia un uomo avverte il bisogno di fare la “voce grossa” per sentirsi forte, allora vuol dire che qualcosa non va. Indipendentemente da come la donna sa gestire la situazione. Sono d’accordissimo con questo tuo passaggio: “la semplicità è auspicabile a mio avviso quando sinonimo di “essenzialità”, non di “pochezza”. Credo che nelle coppie di una volta ci fosse anche tanto vuoto: di intenti, di sentimenti e di reciprocità.”
    Poi guarda ti dirò.. a me personalmente per dominarmi non ci vuole nemmeno chissà che. Basta che un uomo abbia una voce suadente, che non ostenti la sua virilità, che abbia modi decisi ma eleganti, e un certo intrigante “distacco”. A quel punto sarò la sua schiava per sempre!

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