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Il ’68 e la perdita di autorità

Secondo me in Italia, ma non solo, il problema centrale della democrazia é il suo rapporto con l’autorità. Soprattutto dopo il 1968, allorché si é buttato il bambino con l’acqua sporca, e per abbattere stratificazioni di autoritarismo, si é finito per disconoscere anche la indispensabile autorità. Per comprendere cosa intendo, in una nave nessuno si sogna di immaginare che vi possano essere “due” o più autorità: comanda il capitano ed i suoi ordini non si discutono, lui poi n risponderà alla proprietà. Questa elementare verità si é dimenticata in una serie di istituzioni pubbliche e private, e si é proceduto ad una distribuzione diffusa del potere, immaginando che questo fosse il senso più intimo della democrazia, e pervenendo invece ad un coro caotico nel quale ognuno pretende di avere una fetta del potere di comandare, con il risultato della sostanziale generale irresponsabilità. Perché infatti quando le cose vanno male, nessuno ne risponde.
Autoritarismo é imporre la propria idea valendosi della posizione dominante; autorità é esperienza e conoscenza, accettata e riconosciuta: implica e comporta responsabilità.
Ed il problema non é solo della “sinistra”, ma é comune alla “destra”, per quanto ormai valgono queste definizioni. Perché infatti sia il decentramento forsennato ha avuto il solo effetto di una moltiplicazione delle cariche e delle prebende e quindi dei costi, ma assai scarso effetto sulla efficacia dell’azione amministrativa, sia una concezione “proprietaria” della politica, ha avuto un effetto antitetico a quello della “autorità”, producendo soltanto servilismo, stagnazione e gestione secondo una tendenza privatistica indifferente al pubblico interesse. Autorità non può esservi, infatti, senza autorevolezza. Ed autorevolezza é la risultante di competenza, di pubblico riconoscimento, di condotta ineccepibile ed aliena da eccessi (demagogici, contingenti, personalistici).
Questo si percepisce fortemente nella politica, ma non solo. Si pensi alla situazione della scuola e dell’università.
I presidi sono del tutto esautorati, il sindacato impera, qualsiasi iniziativa illuminata pedagogicamente valida di un insegnante -che comporti il minimo maggiore impegno- é subito bollata come “esibizionistica”, “contraria agli interessi della categoria” e così via. Nelle Università ciò che regna non é certo l’autorità dei docenti validi (ci sono, anche se sono minoranza), ma, attraverso la proliferazione delle cattedre, una sorta di lobby e di cooptazione, talché chi non fa parte di un certo circuito non ha nessuna speranza (ed intanto il livello della ricerca e della pubblicistica degrada visibilmente): anche qui si é passati dall’autorità del Ministero, all’autonomia degli Atenei, da questa alla autonomia delle facoltà, e poi in questa, a quella dei dipartimenti, ed infine all’orticello della singola materia e dei concorsi per ognuna di esse.

Lettera pubblicata il 9 Agosto 2007. L'autore ha condiviso 5 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore .
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Categorie: - Scuola

La lettera ha ricevuto finora 4 commenti

  1. 1
    mari1 -

    Silja
    ok tutto vero,però, se ci pensi bene è ciò che “ci meritiamo” perchè in fondo un pò tutti lo abbiamo voluto (almeno per un certo periodo) e faceva comodo.
    Il nostro paese è stato ghermito da protettorati, dalle organizzazioni dei potenti di turno o presunti tali.
    Guarda anche cosa succede nei concorsi pubblici, è tutta una melassa appiccicosa e falsa.Concorsi creati apposta “su misura” per favorire certi personaggi.
    Nulla simuove senza la raccomandazione del potente/politico.A volte pensi che tutto questo non sia giusto e lotti studiando e cercando di costruirti il tuo futuro solo con le tue mani….ma alla fine noti con tristezza deprimente che tu resti al palo e gli altri vanno avanti perchè hanno i santi in paradiso e ..allora ti vedi costretto se non altro per una questione di “giustizia sociale” almeno per gareggiare alla pari partendo tutti sulla stessa linea.E’ la fine,. Tutto ciò ha generato un processo inarrestabile verso il vuoto e la nullità.Poi ti ritrovi dirigenti , insegnati, manager, professoroni universitari che fanno a gara per instaurare i “baronati” e lì nessuno entra .
    Che fare ..non so.. ormai è tutto marciò..senza raccomandazione non vai neanche a fare pipì.Le persone sane e perbene pure ci sono, ma sono talmente poche e non si notano, perchè vengono sovrastate dalla marea di disonesti e arrivisti che ormai pullunano e scalpitano sempre più.
    Sono sfiduciato…..si….. e la cosa che più mi fa rabbia è…..che cavolo di società lasciamo ai nostri figli….ai nostri nipoti…alle generazioni future.
    Che Dio ce la mandi buona……

  2. 2
    albert -

    Non credo proprio che il ’68 abbia ancora influenza sui comportamenti verso l’autorità.

    Prendersela ancora oggi col ’68 (come se abbia poi cambiato chissà cosa!) è lo sport preferito di personaggi chiaramente reazionari, come il pontefice Benedetto XVI, che riceve antisemiti e poi dice che non ce l’ha con gli ebrei, che sostiene che le Chiese riformate non sono vere Chiese e poi dice che non ce l’ha coi protestanti, che cita in modo contorto un’affermazione contro Maometto, e poi dice di essere stato frainteso dai musulmani, che per fare piacere a un gruppuscolo di ultraconservatori lefebvriani reintroduce la messa in latino, e dice che non vuole toccare il Concilio.

    Ma la radice della disaffezione degli italiani verso l’autorità è cosa che a detta di molti storici risale a molto lontano, fin da quando l’Italia, nel medioevo, si trovò spaccata in staterelli, marche, contee, comuni, ecc., e non conobbe il processo di accentramento statuale di Francia, Gran Bretagna, Germania.

    Per gli italiani, è noto, il campanile ha sempre contato di più dell’autorità centrale, anche perchè l’autorità centrale ha sempre trattato i cittadini come potenziali malfattori, e non ha mai favorito un rapporto sereno che rafforzasse il senso civico.

    E comunque, gli effetti del 68 si sono ormai esauriti almeno da 20 anni, dopo il “riflusso” di fine anni 70.
    Restano i cambiamenti nel costume, questo sì, nei rapporti tra uomo e donna, nell’emancipazione femminile, ecc.

    Ma per quanto riguarda gli effetti del 68 nei rapporti con l’autorità, mi pare che l’influsso sia stato minimo.

  3. 3
    DAGO44 -

    Daccordo con quanto soprascritto,il 68 per certi versi è stato l’anno terribilis,probabilmente perchè i giovani di allora cinquantenni oggi non avevano quello che hanno i giovani di oggi.Computer,palmares,telefonini,discoteche e chi più ne ha più ne metta.E’ stata una rivoluzione nella rivoluzione di un Italia avvolta dal Boom economico.Non dimentichiamoci che molti di quei guevaristi di allora sono oggi affermati politici,avvocati,imprenditori,professori,quindi facenti parte di quella borghesia che loro stessi volevano distruggere.Effetti poitici,o con le autorità per come la vedo io,Albert non ci sono proprio stati.DAGO44

  4. 4
    filippo -

    “Secondo me in Italia, ma non solo, il problema centrale della democrazia é il suo rapporto con l’autorità. Soprattutto dopo il 1968, allorché si é buttato il bambino con l’acqua sporca .. Per comprendere cosa intendo, in una nave ..”

    1- Democrazia significa “Governo del Popolo”, quindi Democrazia “è” autorità e non una cosa staccata da essa e con la quale essa si confronta;
    2- in Italia, come in Europa e come tutto il resto del mondo, la caduta delle monarchie e il colonialismo europeo non hanno prodotto Democrazie compiute, ossia governo del Popolo, ma solamente meccaniche elettorali maggioritarie a vantaggio di oligarchie partitiche (demagoghi) che hanno servito e servono interessi di casta (lobbies, mafie etc…);
    3- il disconoscimento dell’autorità suprema, secondo l’esempio della nave che va a fondo, si chiama “anarchia” e non ha nulla a che vedere con la Democrazia, che su una nave non può esistere in quanto porterebbe all’affondamento.

    se il senso dell’ambiguo post è che il ’68 ha prodotto anarchia collassante, un disordine sociale che ha disgregato la ricerca della Democrazia compiuta e della giustizia sociale, favorendo alla fine i nemici di tale giustizia, questo è incontestabile verità storica; le cose del resto non potevano andare diversamente: un progetto di effettivo riequilibrio sociale a sfondo democratico e repubblicano avrebbe richiesto dei Liberali (quelli veri), non certo dei marxisti-leninisti e i bandidos a loro inevitabilmente associati, interessati solo alle vendette di classe e all’esercizio dello stesso potere un tempo appartenuto alla borghesia capitalistica.
    per battere un nemico forte quanto il capitalismo colonialista occidentale ci voleva un ideale solido, altro che Karl Marx, un puntiglioso paranoico animato da egotismo distruttivo.
    i primi sindacati sono stati istituiti da un industriale inglese liberale, non da un comunista.
    il Comunismo è il Dark Lord dello spirito sindacale.
    prima illudere e poi dominare!!
    la CGIL del dopo-Statuto, tanto per fare un esempio pratico, ha sempre dissimulato dietro scioperi a fondo perduto la sua connivenza e cogestione con il capitalismo; sai quanto gliene fregava della giustizia sociale e dei lavoratori ai gerarchi del PCI e del suo sindacato!!

    in conclusione, il vero problema in giro non è la mancanza di rispetto dell’autorità, perché l’autorità è Dio solo quando rispetta i comandamenti di Dio (mi si concedano alcune espressioni “teologiche” a scopo di volgarizzazione) e quando non li rispetta DEVE essere abbattuta; il problema è l’imbecillità e la vigliaccheria maggioritaria della gente, che si disinteressa sempre più della Storia per farsi rincoglionire ora dalle ideologie sballate e ora dai cellulari, salvo poi lamentarsi quando le periodiche inevitabili contraddizioni del sistema cascano loro sulla testa, come nella crisi industriale iniziata nel ’73 con la guerra del petrolio e inaspritasi dagli anni ’80 fino ad ora.

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