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Costretto a rivolgermi allo psichiatra!

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L’altro ieri, mentre scrivevo alcuni commenti su LaD, mi trovavo – non ci credereste mai! – dallo psichiatra per una visita di controllo periodica: un’abitudine che ho preso da quando mi sono trasferito in un laido bilocale di Quarto Oggiaro per il quale pago un affitto che vale oltre metà del mio salario mensile. Il mio medico curante è un illustre sconosciuto, il dottor F., ma ormai mi conosce per diritto e per rovescio, e siamo entrati così in confidenza da darci del ‘tu’.

Milano in novembre è infida e nebbiosa e, da quando è tornata l’ora solare, la notte arriva prima. Appena sono entrato nello studio, F. mi ha guardato in un certo modo, e ha sogghignato: « Ma tu stai ottimamente, stai. Non ti si riconoscerebbe, a pensare che faccia tirata avevi, solo un paio di mesi fa. »

« È vero. Non mi ricordo d’essere mai stato bene come adesso. »

Voi, mentre leggete, state probabilmente facendo la banale considerazione che di solito si va dallo psichiatra perché si ha qualche forma di disagio. Non è sempre così. Dico sul serio. L’altro ieri sono andato dallo psichiatra perché stavo bene, benissimo. E ne provavo una soddisfazione nuova, quasi vendicativa, di fronte a F. che mi ha sempre conosciuto come uno stressato, un ansioso, affetto dalle principali angosce del secolo. Invece stavo bene; almeno così mi sembrava. Da qualche giorno, di bene in meglio; erano anche scomparsi i fastidiosi propositi suicidi di cui ero caduto preda dopo essere stato trascinato in duomo per una causa sociomediatica, propositi che mi assalivano al risveglio del mattino, filtrando fra le fessure della persiana insieme alla mesta luce dell’alba metropolitana.

« C’è bisogno di una visita approfondita? » ha detto F.. « O mi lasci il portafoglio vuoto?»

« Bella domanda… »

Mi sono accomodato sul lettino coperto da una striscia di carta, lui mi ha osservato senza parlare.

« E allora? » ho chiesto io.

F. ha alzato le spalle, manco si è degnato di rispondere. Però mi ha guardato, mi ha osservato come se non conoscesse la mia faccia a memoria.

« Piuttosto dimmi. Le tue rogne su LaD? Il giudizio condotto in duomo? La causa radicata? Mai conosciuto uno più tormentato di te. Non vorrai mica farmi credere… »

Ho fatto un gesto categorico.

«Nada de nada. Sai quello che si dice niente? Neanche il ricordo. Acqua fresca. »

« Come se fossi diventato un altro… » ha fatto eco F., scandendo le sillabe, pensieroso. La nebbia marcia, di fuori, si era intanto fatta più densa.

« Ti ricordi » ho detto « quando all’una, alle due del pomeriggio venivo a consultarmi con te? E tu stavi ad ascoltarmi perché comunque ti pagavo? A ripensarci mi vergogno. Che idiota ero, solo adesso lo capisco, che formidabile idiota. »

« Mah, chissà. »

« Che cosa vorresti dire? »

« Niente. Piuttosto rispondi sinceramente: hai altri problemi con la giustizia? »

« La giustizia! Sempre lì vai a parare. »

« Be’, diciamo cause, processi. »

« Nessun problema con la giustizia, oltre al giudizio in duomo, beninteso, che deve ancora arrivare a sentenza. »

« È dunque finita la tua bella alienazione? »

« Proprio così. Per la prima volta, come dire?.., ecco, mi sento finalmente padrone di me stesso. »

« Caspita. Complimenti. E da qui un senso di coscienza appagata? Magari di sicurezza, vero? »

« Vuoi confondermi? »

« Ma va. E dimmi: fai una vita più regolata di prima? »

« Non credo. Forse no. »

« Ascolti Radio 24? »

« Be’, quasi tutte le mattine. Quando vado al lavoro. »

« Hai ancora passione per la moto? »

« Riderai se ti dico che ho trovato un Ciao Piaggio usato su e-Bay. »

« Ma tifi Rossi? »

« Rossi o Marquez per me è lo stesso. »

« Ma per chi voteresti se ci facessero andare alle urne a dicembre? »

« Non è una domanda da psichiatra, no? »

« Ti ho domandato per chi voteresti. Te lo chiedo da medico.»

Ho levato il busto e gli ho sussurrato una parola nell’orecchio.

« Quanti misteri. Come se non lo sapessero tutti. »

« Perché? Ti suona strano? »

« Per carità. »

« Si può sapere il perché di tutto questo interrogatorio?»

F. si è infilato gli occhiali ed ha appoggiato le mani aperte sulla sponda del lettino.

« Vuoi sapere quello che ti sta succedendo? »

Io lo ho guardato, interdetto. Che, senza parere, F. avesse notato i sintomi di una incalzante patologia?

« Quello che mi sta succedendo? Non capisco. Mi hai trovato qualche cosa? »

« A una prima occhiata, sembreresti innamorato. »

Ho aggrottato le ciglia ed ho pensato che era vero.

« Si. »

« Chi è? »

« Nuria Monfort. »

« Se mi avessi detto Anna Karenina ci avrei creduto di più…. »

« Anche trascurando il fatto che io di Anna Karenina sono stato innamorato davvero, ti faccio presente che Clara Barcelò non è certo il mio tipo e che Beatriz Aguilar – quando ho finito il libro – la ho lasciata incinta di Daniel Sempere.»

« Non mi risulta che esista l’obbligo di innamorarsi delle protagoniste femminili dei romanzi che leggi. »

« Nuria Monfort ha un’età intrigante – tra i trenta e i quaranta – e ha delle bellissime tette.»

« Che sarebbe a dire i tuoi KI.»

Lo ho fissato negli occhi.

« Certo. I miei key index. Belle e sode, è attestato nel romanzo; ovvio che non è tutto qua: mi piace il suo senso di mistero, il suo abitare in quelle stanze misere quanto il mio laido bilocale, la sua gonna, il suo ordine nel tenere le cose sulla scrivania…»

« A te piacciono solo le femmine tra i trenta e i quaranta con tette sode. »

« E’ un problema?»

« Nuria è morta, assassinata da Fumero. »

« Lo so. »

« E comunque amava Julian Carax, non te. »

« Solo perché io non ero nel romanzo, così come non sono in infinite storie, vere o inventate; come Yog, sono destinato a vivere solo in alcune pagine HTML e non posso scegliermi nemmeno le narrazioni di cui far parte. A quelle ci pensa chi scrive. »

« Comunque, in realtà, il vero problema non è il tuo innamoramento. »

« E sia. Dimmelo te, dato che sei uno psichiatra, quale è il mio problema. Pago per questo. »

« La questione è semplicissima. Stai crepando. »

F. non è tipo da indulgere alla presa in giro del prossimo, soprattutto nel suo studio di psichiatra.

« Crepando? » ho bofonchiato. « Crepando come? Una malattia cerebrale? »

« Macché malattia. Ho detto soltanto che stai crepando. »

« Che sciocchezze. Se tu stesso poco fa dicevi che mi trovavi benone? »

« Benone, sì. Ottima cera. Però morto. Ti stai piegando all’andazzo di LaD, ti sei integrato, lasci commenti buonisti che trasudano buonsenso, ti sei omogeneizzato, tra un po’ troverai un uditorio. E sei carne marcia, caro-data-vermis, un ca-da-vere. »

« Pheww! Tutta una metafora, un traslato. Mi avevi fatto veramente tremare! »

« Traslato? Il marcire della carne è un fenomeno usuale e molto banale. Ma c’è un altro marcire, che qualche volta è ancora peggio. L’abdicare alla propria personalità, il mimetismo sociale, la capitolazione all’ambiente, la rinuncia alla propria indole…»

« Storie. Menzogne. Da quando sono su LaD mi sento molto più inserito. »

« Povero Yog. E benedette le tue intemperanze di una volta. »

Ne avevo abbastanza. F. era riuscito a veramente a turbarmi.

« E allora, se sono carne marcia, come spieghi che qualcuno dice di divertirsi quando legge di me? In fondo non sono ancora rincretinito. »

« Non ho detto rincretinito. Defunto. Ci sono oggi blog immensi, tutti fatti di morti che scrivono le stesse cose. Proprio come i telegiornali che parlano per ore dei dettagli dell’attentato di Parigi senza dare una sola indicazione su ciò che potrebbe spiegare quanto è successo. Anche tu ti stai conformando, ti stai globalizzando, ti stai mettendo al passo, ti sei spuntato gli aculei, hai ammainato i vessilli. »

Sono balzato in piedi di scatto, non potevo più resistere.

« E allora tu, psichiatra? » gli ho chiesto alzando la voce. « Come mai di te non parli? »

« Di me? » ha scosso il capo. « Anch’io, certo. Defunto. Da svariati mesi. Come resistere, altrimenti? Cadavere anch’io. Solo mi è rimasta una flebile capacità di capire, una forma di intuizione… per uno scrupolo professionale forse… una intuizione che mi fa ancora comprendere. »

Quando sono uscito dallo studio medico la notte era ormai scura e la mefitica nebbia di Milano aveva uno spesso sentore di gas di scarico. Sullo schermo del mio smartphone, Internet Explorer si riusciva a distinguere appena.

Lettera pubblicata il 17 Novembre 2015. L'autore ha condiviso 17 testi sul nostro sito. Per esplorarli, visita la sua pagina autore .
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Categorie: - Me stesso

La lettera ha ricevuto finora 8 commenti

  1. 1
    Angwhy -

    Ho letto i tuoi scritti.non mollare con lo psichiatra forse c’è ancora qualche speranza

  2. 2
    Yog -

    @Angwhy
    Tengo duro, ma l’ambiente di LaD mi sta portando allo stremo. Grazie per la solidarietà.

  3. 3
    Golem -

    Atmosfere “noir ” alla Scerbanenco. Una Milano di cui si era persa traccia. Quarto Oggiaro ultima isola di una milanesità in via d’estinzione. Salvo i laidi monolocali.

  4. 4
    Golem -

    Yog, leggi il post di Antonino e giudica il risultato terapeutico che ne può derivare. C’è un esempio fresco di giornata.
    Come quelle uova che chi ha la fortuna di vivere con un pollaio può raccogliere giornalmente.
    Risparmiare sulle terapie psichiatriche col biologico è la nuova frontiera della medicina. Si potrebbe definire quasi una new New Age.

  5. 5
    maria grazia -

    Yog, sei un grande 🙂

  6. 6
    Yog -

    Adesso vado a cercare il post biologico.

  7. 7
    Yog -

    Trovato. Ho ovviamente solo dato uno sguardo, ho lo stomaco troppo delicato (colpa anche della Narda Stravecchia) e di certe questioni temo gli effetti emetici. Non ho capito chi ha ottenuto il risultato terapeutico, ma forse è meglio così.

  8. 8
    Golem -

    Dovevi proseguire con la lettura dei post. Ha creato un effetto miracoloso. Siamo sicuri che l’acronimo LaD non significhi “Lourdes a Domicilio”?
    La Narda eh? Buona idea. Io ora mi coccolo un Glenfiddich.

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