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Commento all’articolo di Franco Volpi su La Repubblica

Nietzsche non ha bisogno di difensori pubblici. Il filosofo tedesco non è stato mai digerito dalla chiesa, e non lo sarà mai.
E’ inutile cercare di addolcirlo come tenta di fare Franco Volpi nel suo articolo di Venerdì 10 Aprile.

Lo riassume come un pensatore tutto domande, tipo bambino sapiente, interessato unicamente a farci strada verso un sano antifanatismo, un sano movimento di nuovi valori per tutti, ed una sana espansione della gioia di vivere.

In un solo colpo, Franco Volpi ha ridotto un’aquila di critica, in un gioviale predicatore televisivo.

Lettera pubblicata il 14 Aprile 2009. L'autore, , ha condiviso solo questo testo sul nostro sito.
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Categorie: - Attualità - Cultura - Spiritualità

La lettera ha ricevuto finora 1 commento

  1. 1
    FppBrt -

    Difficile non pensare a Nietzsche come ad un fanciullo- l’apoteosi delle metamorfosi è il fanciullo- e ancor più difficile non figurare la sua ricerca come un tentativo di ridonare profondità a quel “problema dell’Essere” e del suo mistero,i quali saranno ripresi nel corso del ‘900 da un’interminabile teoria di letterati e pensatori- per citarne due soli: l’Hesse autore di Siddartha e Heidegger, quest’ultimo impegnato a più riprese sia nel chiarimento della questione sopracitata, che nel dialogo con lo stesso autore di Rocken, confronto che debilitò non poco la sua quiete psichica; perciò ritengo il precedente commento alquanto maldestro e superficiale, nonché supino: quanto Volpi cercava non era affatto una conciliazione- ammette che certi tentativi da parte di Valadier e Biser sono stati infruttuosi- bensì una restituzione del pensiero emendato da molti pregiudizi. Il filosofo tedesco non sarà mai ben accetto a molti ambienti della Chiesa cattolica, questo è sicuro, ma deprezzare un’intervento chiarificatore in merito alle problematiche che questi ha sollevato in nome di questa irriducibilità rischia solo l’umiliazione della figura Nietzschiana, degradandola ad incompresa macchietta nella commedia del pensiero, ovvero il suo oblio assoluto.
    Quello che Franco Volpi ha scritto è insomma nulla più di un invito e come tale pecca forse- se di qualcosa deve peccare- di brevità e stringatezza, sicuramente non di volgare edulcorazione.

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